venerdì 19 aprile 2024
Emergenza sbarchi: oltre ai numeri c'è vita
di Gabriele Beltrami
Reggio Calabria è tra le città che accolgono i numerosi migranti intercettati nel Mediterraneo: al di là delle cifre, tanti volontari spendono da mesi le loro giornate per rendere meno duro l'arrivo in Italia.
24 agosto 2014
Ottomila sbarcati in due mesi, è questa la cifra di uomini, donne e diversi minori che sta riversandosi da mesi a Reggio, sulla punta della Calabria. Più che di migranti, bisognerebbe parlare di sopravvissuti spesso soccorsi nel Canale di Sicilia, dove, poco più a sud, un barcone dopo l’altro si trova a sfidare correnti leggendariamente pericolose.

Uno scenario divenuto abituale
e che ogni giorno può diventare tragico perché degli oltre centomila migranti già sbarcati da inizio 2014, molti muoiono e altri sono catalogati come dispersi. I migranti che arrivano a Reggio Calabria mostrano sul viso gli orrori della morte vista da troppo vicino. L’ultima, volta, domenica 24 agosto un altro di loro, infatti, non ce l'ha fatta: era un eritreo, come molte delle vittime del naufragio avvenuto pochi giorni prima in Libia. E come in altri casi, narrati dagli stessi migranti, è stato uno scafista a provocarne la morte: un colpo di spranga alla testa durante il trasbordo davanti la coste di Tripoli.

Con questo nuovo maxi-sbarco
sulle coste calabre, si è giunti, lo dicevamo, a quasi ottomila immigrati transitati in questo lembo di Italia solo negli ultimi due mesi. L’estate, infatti, ha incentivato i viaggi dalle coste africane o mediorientali verso l’Italia e le cifre hanno inziato a registrare numeri da capogiro.

Accanto a queste notizie che riempiono i media, ci sono, però, anche storie di incontro, di accoglienza, di scoperta dell’altro è la storia di Teresa, Terry per gli amici, reggina d.o.c. che fin dalle prima avvisaglie di emergenza sbarchi si è tirata su le maniche ed è entrata a far parte del Comitato di volontariato a supporto della Protezione Civile, una realtà voluta fortemente dallo scalabriniano P. Bruno Mioli, direttore della Migrantes diocesana, che coordina il gruppo. Parrocchie e associazioni insieme a radunare vestiti, generi di prima necessità e, certamente, una mano accogliente ed uno sguardo rassicurante.

«Desideravo da tempo dare il mio contributo nel servizio di accoglienza consapevole che sarebbe stata un’esperienza emotivamente forte. E così è stato. Lo sbarco del 16 luglio mi è rimasto particolarmente nel cuore. L’approccio iniziale con i migranti non è stato facile: il desiderio di rivalsa di una vita che è stata troppo dura con loro, mista all’eccitazione di essere arrivati e arrivati vivi, creava confusione nella palestra in cui erano ospitati, ma allo stesso tempo qualcosa stava nascendo. Donne, bambini, uomini e ragazzi, bisognosi solo di una realtà serena e di qualche abito pulito». Così Terry ricorda i primi passi in questa realtà che, ormai, segna le sue giornate.

Il racconto prosegue come un fiume
in piena quando l’incontro con questi fratelli e sorelle è sceso per questa giovane più in profondità: «Mi è stato raccontato qualche sogno nel cassetto e la speranza di poterlo realizzare e tante risate fatte in quella realtà che emanava al contempo tanta tristezza. La tristezza è diventata commozione quando abbiamo cominciato a capirci, nonostante la lingua diversa. Parlavano gli occhi, parlavano i cuori».

La sua semplice conclusione, però, è di quelle che spiazzano il sentire comune nei media, perché legge quanto sdta accadendo nel senso di una occasione, di una scoperta della ricchezza di ogni essere umano, se solo gli è data la possibilità di un futuro: «Oggi, per me, non sbarcano più estranei, sbarcano amici!».

Terry e gli altri volontari
ce la stanno mettendo davvero tutta, anche contro gli umori di una città che vede solo il lato oneroso della vicenda, senza dubbio difficile da gestire asetticamente, convinti come sono, però, che il loro gesto, forse piccolo, può contribuire a far rinascere un sorriso in chi l'ha perduto da tempo.
24 agosto 2014
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