In una società in profondo mutamento, in cui le tradizionali agenzie educative - famiglia e scuola soprattutto - sono in crisi, ci troviamo spesso a parlare di emergenza educativa. Ma l'insegnamento di Don Bosco e il suo sistema preventivo hanno ancora molto da insegnare. Ne è convinto il salesiano Jean Marie Petitclerc, francese della Normandia, Cavaliere dell’Ordine emerito della Repubblica francese, ingegnere diplomato con la maîtrise in Scienze dell’educazione. Ha operato ed opera con le istituzioni civili nelle grandi città della Francia, particolarmente nelle banlieue e periferie urbane, e come consulente di sindaci francesi e di comitati nazionali. Due associazioni sono state da lui fondate sin dal 1995: l’Associazione per la promozione dei mestieri della città e per la diffusione del modello di agenti sociali per la mediazione sociale, e l’Azione Valdocco che dal 2012 ha sede a Nizza ed opera in altre grandi città della Francia. Don Petitclerc vive ed opera attualmente a Lione e continua a pubblicare interessanti libri di saggistica e di pedagogia, tra i quali La pédagogie de Don Bosco en douze mots clé (La pedagogia di Don Bosco in dodici parole-chiave) del 2012 e Quand nos ado boudent la foi (Quando i nostri adolescenti snobbano la fede) del 2013.
È ancora valido l'insegnamento di San Bosco?
«Mi
pongono spesso questa domanda in Francia: come gli educatori del
XXI secolo
possono far riferimento ad un pedagogista del XIX secolo, in una
situazione giovanile odierna così diversa da quella di Torino del
1800? Mi sembra di poter dire che le due epoche hanno un elemento
importante in comune: la situazione sociale in rapido cambiamento. Al
tempo di don Bosco si stava passando da una società rurale ad una
società urbana nell’epoca industriale. Oggi stiamo vivendo una mutazione nel
passaggio da una società industriale moderna a una società di tipo
post-industriale e post-moderno. Per questo il Sistema Preventivo,
ereditato da san Giovani Bosco, è piuttosto pertinente, perché
pensato in
un periodo di mutamento. È dunque un impegno serio per noi
Salesiani quello di continuare ad attualizzare questo sistema nel
contesto di mutazione attuale. È don Bosco stesso che ci disse: "Ho
fatto la bozza, mettete poi voi i colori"».
L’Associazione
Valdocco di Argenteuil celebra venti
anni dalla fondazione: qual è il bilancio educativo?
«Effettivamente, proprio nel 1995 ho fondato il “Valdocco”, nato dall’incontro tra l’associazione dei cittadini di quel territorio, preoccupati per il futuro dei loro figli nella realtà contemporanea, e i Salesiani di don Bosco. C’era in tutti il desiderio di sperimentare il modello educativo di don Bosco in quella banlieue. L’Associazione Valdocco oggi esiste non solo a Argenteuil, ma anche a Lione, a Nizza e a Lille. Gli aspetti più innovativi del Valdocco, rispetto ad altre azioni sociali, è l’aspetto globale, integrale, così caro a don Bosco, del prendersi cura di tutto il ragazzo, in tutte le sue dimensioni, e poi la vicinanza al giovane, ma anche alla famiglia, nella scuola e nella vita della città. L’essere presenti tra i giovani nel quotidiano della vita urbana, permette ai giovani di incontrare altri giovani del quartiere, altre culture, altre situazioni. Don Bosco, nei suoi tempi, riuscì a far coesistere due categorie così diverse di giovani: quelli della strada, che ospitava a Valdocco, e quelli dello studentato. Oggi questa azione educativa di far incontrare giovani così diversi, dal punto di vista sociale, va incoraggiata perché costituisce un’opportunità vera per la società di ogg».
In
una società dove la famiglia è in crisi, quali sono le sfide
dell’educazione e come progettare la missione dell’educatore?
«Intuisco due grandi sfide, ed è ancora don Bosco che ci dà gli strumenti per affrontarle. La fiducia: istaurare relazioni di fiducia tra giovani e adulti che tendono a vivere su due pianeti differenti. E desidero affermare che noi possiamo fondare l’autorevolezza soltanto sulla fiducia. Don Bosco aveva la chiara consapevolezza che l’autorità in una società in mutamento è meno legata allo status della persona, conferito da istituzioni tradizionali, che alla qualità della relazione che la persona è in grado di stabilire con il giovane. Oggi incontro alcuni genitori che hanno autorità nella loro famiglia, ma altri no. Incontro insegnanti che esprimono autorità a scuola, in classe, ma altri no. Incontro dei giudici minorili che hanno autorità nei loro uffici, ma altri no. Questa intuizione di don Bosco che l’autorità non è legata allo status, ma alla qualità della relazione, è ancora molto pertinente oggi. Ci ricorda che, senza fiducia, l’educazione non è possibile. Per questo occorre rinforzare la dimensione affettiva del giovane e dell’adulto. Il secondo elemento importante è quello dell’alleanza, del come fare alleanza, quando spesso i giovani si contrappongono agli adulti. Don Bosco è colui che ha creato le condizioni dell’alleanza, che è in un certo modo una coniugazione di amore e legge. L’educatore deve essere allo stesso tempo testimone dell’amore e della legge. Come diceva Xavier Thevenot, un grande prete salesiano, teologo morale, non c’è amore senza legge e non c’è la legge senza amore. Tocca a noi oggi affrontare le sfide della comunicazione dell’amore e della trasmissione della legge».
Come educare in un contesto che spinge alla violenza?
«Credo
di poter affermare che la violenza è naturale. La maniera naturale
di risolvere un conflitto è la violenza. A è in conflitto con B,
eliminate B e non c’è più conflitto. La maniera naturale di
esercitare la rabbia è la violenza. La violenza degli adolescenti e
dei giovani, che ci preoccupa molto, non è un problema di
adolescenti e giovani. Il bambino del XX secolo non era meno violento
di quello del XXI secolo. Tutti e due nascono violenti e incapaci di
resistere a una piccola frustrazione. Il problema degli adolescenti e
dei giovani è un problema degli adulti. L’interrogativo che
dobbiamo porci è come educare i più giovani a gestire la
frustrazione e la propria aggressività. Costruire una relazione
pacifica con una persona differente da sé, che non condivide le
stesse convinzioni religiose, politiche, le stesse idee non è una
cosa naturale, innata. È un apprendimento perché frutto
dell’educazione, diceva don Bosco alle autorità italiane del suo
tempo, che si lamentavano dei giovani che stavano sviluppando
comportamenti violenti. Questo pensiero è ancora presente oggi nei
discorsi dei politici. Secondo don Bosco, questa violenza è il
fallimento dell’accompagnamento educativo. C’è una sola
soluzione: rimboccarsi le maniche e educare. Per don Bosco l’unica
ricetta per affrontare e superare la violenza è l’educazione.
Quanto è ancora vero questo messaggio oggi! Mi piace ricordare uno
dei discorsi di don Bosco a Lione, alle autorità civili, nel 1883.
Egli diceva: "Se tardate a occuparvi dei giovani, non tarderanno
loro stessi a “occuparsi di voi". È questa la profezia del
grande educatore don Bosco».
In
una società dove è difficile credere nel futuro, qual è il suo
messaggio ai giovani?
«È
un messaggio di speranza. Noi viviamo in un’epoca formidabile, si
tratta di ricostruire l’economia in un contesto di globalizzazione.
Si tratta di salvaguardare il posto dell’essere umano prima che il
progresso della biologia lo manipoli e strumentalizzi. Come
effettivamente dare il gusto di vivere ai giovani della nostra epoca?
Don Bosco soleva dire che il Salesiano non dovrebbe mai lamentarsi
della propria epoca. I giovani hanno bisogno di adulti entusiasti,
capaci anche di aiutarli ad avere consapevolezza dei rischi che ci
sono nella dipendenza dall’uso delle nuove tecnologie, che non
rispettano la dignità umana. A noi educatori, educatrici spetta il
compito di accompagnarli per affrontare con coraggio la sfida del
futuro».