giovedì 25 aprile 2024
Virus Ebola: chi l'ha visto?
di Alessandro Suzzi Valli
Non se ne parla più, ma c'è ancora, solo che abbiamo imparato ad affrontarlo e non è più una psicosi. E l'Italia ha fatto la sua parte
16 aprile 2015

Perchè dall’estate del 2014 si è spesso formulata l’equazione Africa = Ebola?  È  un’equazione possibile? realistica? Assolutamente no. Ma ancora oggi molti la pensano così. Il volume dei viaggi turistici o di lavoro verso il continente è calato in misura abnorme (oltre il 70% - fonte "Africa e Affari" dicembre 2014); i turisti prima di tutto hanno scelto mete più sicure. "Una psicosi che fa più danni del virus stesso", così si è espresso Massimo Zaurrini, direttore della rivista "Africa e Affari" al convegno organizzato alla Società Geografica Italiana sul tema di Ebola in Sierra Leone, proprio per fare il punto della situazione ad un anno dall’esplosione del contagio in Africa Occidentale. E ha aggiunto: “Ebola è insomma più che un virus, è una psicosi generalizzata, alimentata soprattutto da una mole di stereotipi, retaggio del passato, segno di ignoranza profonda dell’Africa e delle sue dinamiche culturali.”


Ma veniamo ai dati: i più aggiornati parlano di 22.800 casi in tutto e 9177 vittime (OMS). È difficile tuttavia tenere a bada i numeri. Secondo il Ministro Baldi per la cooperazione italiana, che si è occupato di Africa di Ebola nell’ultimo anno anche effettuando diversi viaggi di ricognizione sul luogo, in Sierra Leone sette nuove provincie hanno registrato casi di Ebola. L’epidemia si diffonde ancora; ma fa meno paura. Ospedali da campo attrezzati, inviati dall’Italia e in prima linea dall’ospedale Spallanzani con il finanziamento congiunto dell’Unione Europea, hanno fatto la differenza negli ultimi mesi.

Secondo Maurizio Barbeschi nel 2014 si è steso un programma di intervento dall’Europa di circa 7.000.000 di euro, che ha mosso i primi passi finanziando organizzazioni già operanti nel territorio. OMG, Croce Rossa, Unicef hanno avuto il ruolo di coinvolgere la popolazione. In una seconda tappa si si è attivata un'ampia rete di ONG (Emergency prima fra tutte) laiche e cattoliche, che operano con migliaia di volontari sul campo.


I problemi sono scaturiti dal sistema di allerta che non ha funzionato efficacemente e da sistemi sanitari non conformi. Ma c’è da aggiungere il fatto che le aree di confine sono in conflitto con il governo centrale perché le comunità ivi stanziate non si sentono rappresentate. Di conseguenza, a livello locale le comunità non sono state responsabilizzate per affrontare il problema autonomamente. Il coordinamento è stato operato dalla sede preposta di Dakar. ma dovrà essere perfezionato dato che è anche successo che gli organismi internazionali che coinvolgevano i tre paesi legati storicamente a Sierra Leone, Guinea e Liberia, rispettivamente Inghilterra, Francia e Stati Uniti, si siano intralciati in fase di intervento sul campo.

Dal punto di vista prettamente medico invece la coordinazione del lavoro è stata ottima, il soccorso medico efficente ed efficace, nonostante una certa scarsezza di personale (servirebbero altri 5000 volontari almeno) che non è facile reperire per la paura diffusa. A seguito dell’epidemia infatti già alcune centinaia di operatori hanno perso la vita.


L’Italia si è distinta anche per un ottimo intervento psico-sociale, ha detto  Francesco Vairo,  coadiuvata in questo anche dal CEI e Freetown ha visto l’apertura di centri di accoglienza per minori orfani. Questi vengono ospitati per tre settimane, mentre si prendono contatti con le famiglie che li ospiteranno. “Il lavoro psico-sociale è di primaria importanza per limitare gli effetti e la diffusione del virus; in particolare deve filtrare un messaggio per insegnare come trattare anche i corpi dei defunti, evitando, almeno temporaneamente il trattamento con i metodi tradizionali, considerati pericolosi perchè prevedono un contatto fisico con il corpo del defunto prima del commiato. Le autorità religiose locali hanno un ruolo forte in questo e possono più efficacemente influire sulle comunità locali per limitare la pratica tradizionale a rischio.


In generale, il sistema organizzativo, affinchè funzioni capilarmente, deve prevedere il finanziamento di organismi ex-novo, di quelli già esistenti. Il potenziamento delle strutture sanitarie periferiche, ma non solo. Occorre promuovere la diffusione di una gran mole di informative attraverso convegni e dibattiti internazionali, sia in loco che nei paesi non africani; ricreare un rapporto di fiducia verso il sistema sanitario nazionale, le cui falle e debolezze strutturali, soprattutto in periferia o nelle foreste, hanno in qualche caso amplificato la diffusione del virus. Così, con gli ospedali chiusi per paura che si diffonda ancor di più Ebola, si muore anche per semplici encefaliti, o anche diarrea, malaria, morbillo. Naturalmente, occorre lavorare sul vaccino: bisogna incentivare la ricerca a breve. Le ditte farmaceutiche investono se hanno un ritorno e si dovrà quindi creare il contesto adeguato. Bisogna poi avere una buona organizzazione per la diffusione del vaccino quando sarà pronto. Uno dei centri di eccellenza per la realizzazione del vaccino è a Pomezia.


Il professor Polizzi invece ha parlato dell’efficenza dell’Ospedale di Makeni (Freetown). Vanta una grande capacità di effettuare il triage di controlli molecolari nelle 12 ore previste. “Abbiamo fatto incontrare e collaborare esperienze mediche diverse, attraverso l’impiego di staff internazionale proveniente da vari continenti. Il reparto comunque non si chiama Ebola perchè in futuro si occuperà di altri problemi infettivi. Siamo soddisfatti dei 130 sopravvissuti di Makeni, una buona fetta dei più di mille casi di guarigione degli ultimi mesi in Sierra Leone”, ci informa soddisfatto. Un altro grande passo è rappresentato dall’educazione sulle malattie infettive agli studenti di medicina dell’università di Makeni. La formazione è qualcosa di imprescindibile. La situazione di psicosi generale sui rischi di contagio e la speranza di vita si sta via via tranquillizzando. Rimarranno attivi a lungo centri sentinella per la sorveglianza epidemiologica.

16 aprile 2015
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