martedì 23 aprile 2024
Antartide: il continente alla fine della terra, che ci può salvare dai nostri modelli di sviluppo
di Marta Donolo
La conoscenza di ambienti così fragili e cruciali ci aiuta a capire che il modo in cui viviamo fa male a noi e al pianeta
14 maggio 2015

Dopo una visita all'International Antartic Center in Nuova Zelanda, dove insegnano ad apprezzare il ghiaccio e il freddo attraverso finte tempeste di neve e documentari spettacolari e dove si può imparare a conoscere l'attuale drammatica situazione dei cambiamenti climatici, diventa naturale porsi alcune domande relative al pianeta in cui viviamo.

Le nostre giornate sono scandite da orari: ci alziamo, andiamo a lavorare, mangiamo, dormiamo. Riuscire a fare bene il proprio lavoro e ad avere una vita sociale sembrano essere gli obiettivi da perseguire e sappiamo che non sono neanche così semplici da raggiungere. Ma vi siete mai chiesti se questo stile di vita si basa su una nostra scelta o su regole imposte dalla società in cui viviamo? Ad esempio, cosa mangiamo? Cibi prodotti industrialmente che ricordano solo da lontano la materia prima di cui sono fatti. Come ci spostiamo? Su mezzi, le automobili, abbastanza primitivi, inquinanti e rumorosi. Come ci divertiamo? Cercando avventure fittizie facendo bungy jumping senza magari aver mai fatto una passeggiata in montagna. Studiamo materie non collegate alle priorità del periodo storico in cui viviamo - sapete niente del nucleare o dello scioglimento dei ghiacciai?  


Pochi ma cattivi. Cibo, acqua, spostamenti. Le sole cose che ci servono veramente per vivere sono gestite da poche multinazionali. Fast food colorati e invitanti come gli onnipresenti Mc Donald's, che però hanno dubbie certificazioni etiche e sugli standard di qualità sulla provenienza di materie prime e fornitori; adrenalici parchi di divertimento come Sea World, apparentemente regno dei delfini – che sono stati in realtà catturati dalla mafia giapponese che grazie a questi parchi divertimento ha sviluppato un business fiorente; escursioni in quad, una sorta di moto a quattro ruote, che distruggono le dune ma divertono i turisti che escono dai loro resort e si illudono così di conoscere il deserto. Farmaci sempre più chimici, animali allevati in gabbie spaventose, inquinamento irreversibile di fiumi e aria sono solo alcune delle esternalità negative che poche società producono per beni e servizi, che offrono solo un benessere temporaneo. I cambiamenti sociali dovuti alle nuove dinamiche del turismo sul territorio sono quindi per gran parte responsabili di questi trends. Chi ha scelto tutto questo?  


Pensiero unico. Abbiamo imparato  a diventare raffinatissimi nell'utilizzo di armi e violenza e non sappiamo quasi più come si fa fa a pensare e ad usare la compassione. Assistiamo a cambiamenti tecnologici ed ad avvenimenti straordinari quasi senza averne coscienza e questo ha un impatto sulle nostre capacità di scelta. Le nostre scelte di consumo sono illusorie, essendo per la maggior parte guidate, attraverso sofisticate operazioni di marketing, da aziende che perseguono solo il profitto. Forse dovremmo farci qualche domanda in più: il libero mercato si è sviluppato democraticamente? Per Naomi Klein, scrittrice e attivista, no, in quanto governi e lobby usano il disorientamento pubblico causato da guerre, terrorismo o disastri naturali per imporre i loro modelli economici. Questa è infatti la tesi del suo libro “The shock doctrine”. Una sua citazione famosa dice «(..)molti occidentali ormai sono terrorizzati, profilati in ogni particolare, e se sono del colore sbagliato, delle idee sbagliate, si sentono vulnerabili. Abbiamo le risposte, ma manca la fiducia in noi stessi, ci hanno fatto credere che non esistono alternative: nell'emisfero sud del mondo invece la resistenza è ancora forte a questo pensiero unico». E forse non ha tutti i torti, se prestiamo più attenzione ai segnali che ci mandano ambienti fragili e cruciali come  l'Antartide.

14 maggio 2015
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