Si può fare una informazione di qualità raccontando il mondo del non profit. È la storia di “Vita”, un giornale che nasce nel 1994 su una intuizione di Riccardo Bonacina (direttore responsabile della testata), con una peculiarità: il cuore pulsante di questa realtà è un Comitato editoriale unico nel suo caso, con oltre 60 fra le più importanti organizzazioni italiane del Terzo settore.
Come vive un giornale di questo tipo? Ce lo siamo fatti raccontare, in esclusiva, dal capo redattore di Vita, Stefano Arduini:
«In questo giornale non ci sono i grandi editori, ma delle realtà vive del Terzo settore, che si mettono insieme e sostengono letteralmente il progetto. Abbiamo subito una serie di evoluzioni da vent’anni a questa parte, fino a stabilizzarci su una uscita mensile, con l’85% delle copie che sono in abbonamento. Ma abbiamo anche un sito sempre aggiornato: portale ed edizione cartacea viaggiano in modo integrato, come richiedono le nuove tecnologie. La grande sfida di "Vita" è proprio quella di provare a raccontare in modo giornalistico il mondo del sociale, del welfare e della sperimentazione sociale.»
Come gestite le vostre fonti? Siete mai stati contestati?
«Questo giornale vede collaborare tante realtà: dall’Anpas (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze ndr) alle tante organizzazioni territoriali. Le fonti sono gestite direttamente dai singoli redattori: ognuno di loro si occupa di 5-6 realtà e ne è diretto responsabile dal punto di vista giornalistico. Così è più facile anche per loro: ogni associazione ha i suoi contatti e i suoi riferimenti diretti. È difficile essere contestati in un contesto del genere, semplicemente perché vogliamo tutti lo stesso obiettivo. Il nostro lavoro è quello di riuscire a tradurre in modo giornalisticamente valido, tutto il portato di esperienza, racconti e statistiche che le varie associazioni riescono ad elaborare. Il tentativo che fa Vita è quello di essere un polo di attrazione rispetto alle battaglie comuni di questo mondo, non un qualcosa che divide. Noi vogliamo creare una massa critica importante e farlo sentire a chi di dovere.»
Quali risultati avete raggiunto in questi anni?
«Tra i nostri successi c’è la campagna di stabilizzazione per il 5 per mille e l’abolizione del tetto di spesa, la campagna per il Servizio civile universale e la Riforma della legge dell’impresa sociale. Vita vuole essere anche un ponte per il dialogo tra il terzo settore e il mondo della politica e del profit- E poi stiamo anche ampliando la produzione sull’estero: queste tematiche devono passare, oggi più che mai, anche da una finestra che apre sull’Europa.»
Che tipo di Italia emerge dall’attività che fate?
«Un mondo del terzo settore sempre meno istituzionalizzato e sempre più vicino alla gente. Le grandi organizzazioni ci sono ancora, ma a fianco a loro c’è una società civile che mette sul piatto strumenti importanti: il Social street e i tanti meccanismi che diventano virali partendo dal basso sono un esempio. Il mondo della società civile ha sempre più bisogno di queste sperimentazioni, che noi dobbiamo essere bravi a rintracciare e intercettare; sono realtà che al pubblico interessano, e che Vita fa forse racconta meglio di altri proprio per la rete che è stata in grado di crearsi. L’immagine che emerge è di una Italia che da più speranza, di giornali che raccontano disastri ce ne sono tanti. Il nostro è allo stesso tempo uno sforzo e una sfida: provare a raccontare cose che funzionano.»
Immigrazione, lavoro, rom. Come raccontate i fatti caldi dell’attualità senza scadere in prese di posizioni politiche o banali?
«Per lavorare a "Vita" occorre innanzitutto formarsi. Ci vuole del tempo, anche dal punto di vista del linguaggio. Ci sono alcune parole che per nostra natura noi non accettiamo: "handicap" è una di queste, non è esatta, non risponde alla sensibilità del nostro pubblico. Anche “ultimi”. Ultimi di cosa? Noi parliamo di innovazione, dei primi, di realtà vive e dinamiche. I migranti poi sono un altro tema ancora: sono persone, noi a differenza di altri partiamo da questo presupposto e ce lo abbiamo ben presente. Vita è un posto dove ti formi anche da un punto di vista culturale, dove si fa giornalismo in un certo modo. Un giornalismo di qualità.»