giovedì 25 aprile 2024
Parlare solo di "fatti" a volte non basta
di Vittorio Sammarco
Agli "esperti" non si chiede solo di rappresentare ciò che succede, ma di spiegare e di indicare dove sta il bene. Da Tommaso Demaria a Emmanuele Morandi: la metafisica offre riflessioni anche per chi fa comunicazione
7 dicembre 2015

È stato un momento di studio interessante e proficuo il terzo seminario su “Pensare il rapporto tra storia e società: il contributo organico-dinamico di Tommaso Demaria”, svoltosi all’Università Pontificia Salesiana dal 16 al 20 novembre scorso, per ricordare e riflettere sulla figura del sacerdote e teologo vissuto nel secolo scorso e autore del pensiero realistico-dinamico. Tre giorni densi di riflessione (a cura dell’Ups, facoltà di Filosofia, in collaborazione con l’Associazione “Nuova Costruttività” e il Centro ricerche teologiche e metafisiche di Verona), partiti dall’attualità del pensiero del filosofo salesiano, per concludersi con l’intervento di monsignor Lorenzo Leuzzi (vescovo ausiliare di Roma) su “Il Vangelo della Misericordia. Per un nuovo sviluppo globale”.


Per chi si occupa di comunicazione (addetto ai lavori o semplice appassionato d’informazione) è sembrato particolarmente interessante il pomeriggio di giovedì 20, finalizzato a far conoscere la figura di un filosofo-sociologo, Emmanuele Morandi (docente universitario di Sociologia dei processi culturali alla Facoltà di Lettere a Filosofia dell’Università di Verona), autore di “La società è un uomo in grande”, scomparso in maniera drammatica l’11 giugno scorso, a soli 54 anni, colto da infarto proprio mentre faceva l’appello di un esame con i suoi studenti. Perché è importante anche per i comunicatori (e in particolare i giornalisti) il pensiero di Morandi? Amico dell’Università Pontificia Salesiana e dell’Associazione Nuova Costruttività, cultore appassionato e coerente della figura di Tomaso Demaria, il sociologo modenese ha scritto un libro denso di spunti che mira a favorire la riflessione su una possibile revisione della figura del sociologo. Partiamo da qui.


Come ha spiegato in modo sapiente e comprensibile Adalberto Arrigoni (allievo e amico di Morandi e docente presso l’Università degli Studi di Verona, in una riflessione videoregistrata da Leeds), il sociologo non si pensava come un semplice osservatore di fenomeni e dati intrecciati, una specie di “statistico sociale”. Non amava considerare la storia come una linea coerente di fatti che si susseguono e impattano l’uno sugli altri. Secondo Arrigoni, in questa concezione, “la società non sarebbe altro che chiusa tra due estremi: da un lato la concezione individualistica, dove esistono solo le interazioni tra gli individui che formano la società; e dall’altro la concezione olistica e coercitiva per cui pensiamo che ci sia una sfera di fatti sociali che influenzano e determinano i comportamenti dei singoli individui”. Verso queste due polarizzazioni, sottolinea Arrigoni, “Morandi tradiva una sorta di malessere, accresciuto dal fatto che sempre di più si vede l’immagine comune di un sociologo simile a quella dello statistico”. In pratica un semplice osservatore dei fatti, dotato di un sapere che riesce a correlare e connettere dei dati statistici, ipotizzando delle connessioni, più o meno affascinanti e coerenti.


Per lui, invece, tra soggetto, oggetto e conoscenza prodotta vi è una tangenzialità e un intreccio tutto particolare. Sia il soggetto che il suo oggetto hanno una dimensione antropologica e fanno parte della sfera dell’umano e di quella sfera sociale che viene investigata. A sua volta la conoscenza scientifica che viene prodotta, entra come un filo all’interno della trama delle relazioni sociali. E quindi non possono che essere considerati insieme nella ricchezza delle molteplici relazioni che creano, in maniera dinamica e in costante evoluzione. È uno dei punti di maggior contatto con il pensiero di Demaria. Evidenziato anche, per il giovane accademico in temporanea trasferta inglese, dal pensiero di Benedetto XVI, che in due punti della Caritas in Veritate (55 e il 31) segnala “le nefaste conseguenze derivanti da una chiusura delle scienze umane alla metafisica e dalla necessità di rilanciare un’interpretazione metafisica dell’umano.”


Ecco, allora, il punto più interessante per chi riflette su quella particolare modalità di osservazione del sociale, dei fatti e della realtà, che è la tecnica giornalistica. Chi fa questo mestiere, soprattutto in questi tempi complessi e difficili, si chiede spesso se ci si deve limitare alla cronaca dei fatti o se ci si può “permettere” di fare interpretazione contestualizzata, nella quale, però, rischiano di emergere (per alcuni in maniera inopportuna) la visione personale del mondo e del senso della vita. Ecco, Morandi, dal suo punto di vista di sociologo, non molto lontana, se ci si pensa bene, da quello del giornalista, dà una bella risposta a conclusione delle pagine intitolate, appunto, Quando i “fatti” fanno violenza alla realtà (quinto capitolo del suo La società è un uomo in grande. Per riscoprire la sociologia degli antichi, Marietti 1820, 2010, pp.384): “Chiunque pratichi la ricerca sociale sa questa verità: al sociologo viene chiesto non solo “come stanno le cose” ma soprattutto se il modo in cui stanno le cose va “bene o male”. E quando viene chiesto se “le cose vanno bene o male” – si perdoni la semplificazione – non interessa un’opinione in quanto opinione, ma un giudizio esperto.


Ma quale esperienza rende un giudizio appunto esperto? Non certo la conoscenza dei “fatti”, ma saper tematizzare l’esistente, come stanno le cose, alla luce del come “dovrebbero essere” per generare vita sociale; conoscere i “fatti sociali” all’interno di quel territorio che sono gli uomini, territorio di esperienze difficili, complesse e articolate, rispetto alle quali la barocca costruzione di teorie sociali non può che apparire, molto spesso almeno, un abbandono della vita sociale a se stessa, un abbandono della società a un improbabile destino”. Non è forse il caso che anche chi lavora con la “grezza” informazione, non si trinceri troppe volte dietro il paravento dell’oggettività dei fatti per evitare di dover prendere posizione sul “dover essere”, e lasciare così dietro la porta una morale spesso difficile da sostenere se non con il sostegno di coscienze mature e coerenti? Le pagine di Morandi offrono una preziosa opportunità per riflettere su questi temi anche da un punto di vista diverso.

7 dicembre 2015
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