venerdì 26 aprile 2024
L'Isis una follia, i musulmani credono nel Dio dell'amore
di Giorgio Marota
Intervista a Saydawi Abdel Hamid, presidente dell'associazione culturale Addawa, della moschea del Pigneto: "Per colpa di queste bestie noi siamo odiati e discriminati"
8 dicembre 2015
C’è un grido di dolore che proviene da 1.6 miliardi di musulmani nel mondo: l’Isis non siamo noi. Allarme che diventa paura e timore, perché “il Califfato non ha come obiettivo solo l’Europa, ma soprattutto gli altri paesi del mondo arabo”. Ce lo ricorda Saydawi Abdel Hamid, presidente dell’associazione culturale Addawa, della Moschea del Pigneto, già presidente della Federazione musulmana del Lazio, membro confederazione islamica italiana e del consiglio degli imam europei.

Addawa si trova nel VI municipio della Capitale, nel quartiere Labicano ed è stata tra le associazioni culturali promotrici della grande manifestazione che ha coinvolto i musulmani in Italia il 21 novembre, per dire “no” ad un radicalismo che offende e tradisce il messaggio autentico dell'Islam. “I musulmani non vogliono questo, gli umani non vogliono questo, noi preghiamo insieme alla gente, di qualsiasi cultura e religione. Abbiamo sempre coinvolto nelle nostre iniziative sia la Chiesa che la società civile” spiega Abdel Hamid.
 
Il dialogo e le manifestazioni danno un segnale forte, ma a volte possono non bastare. Lo sa bene il presidente di Addawa, che rilancia: “Io non voglio il dialogo, voglio qualcosa di più. Basta con le parole, io vorrei che il dialogo si trasformasse in una tavola di lavoro. Cerchiamo le soluzioni, pensiamo ai problemi e agiamo insieme. Ma facciamolo ora”. Del resto il fondamentalismo nasce soprattutto nella povertà, nell’intolleranza e nel disagio sociale. L’Isis ne è un esempio e trova rifugio proprio in un humus di sofferenza. Da musulmano gli chiediamo perché: “I giovani sono a rischio, perché chi ha un lavoro e una famiglia non ha tempo per lavaggi del cervello, ama la propria vita”. Il mondo dell’informazione ha le sue responsabilità, che l’imam conosce molto bene: “Innanzitutto smettendola di fomentare l’odio attraverso giornali e mass media – ci spiega - Quello lo facciamo noi, non l’Isis. I media associano il male all’Islam, io questo non posso tollerarlo. Allah non ammazza e non chiede di ammazzare. E’ il Dio dell’amore e della misericordia e chi uccide in suo nome è solo un folle, un “non uomo”, un vigliacco. Ma chi dice “bastardi islamici” uccide anch’egli, perché semina l’odio e alimenta la paura. E noi dobbiamo essere forti”.

A rimetterci sono i musulmani onesti. Anche in Italia: “Io sono qui da 30 anni, ero del Marocco e uso il passato perché ora mi sentirei straniero in quel Paese. Qui sono diventato un uomo. Eppure vedo ancora intolleranza e discriminazione. I carabinieri vengono a perquisire spesso la mia casa, cercano le bombe, le armi e le pistole, ma trovano solo il Corano. Dopo l’11 settembre mi ci sono abituato”.

Il pensiero finale è dedicato al mondo Occidentale e alle sue responsabilità: "Nasce tutto in Medio Oriente e gli Stati Uniti hanno avuto sempre forti interessi lì. Ma credo che ora non vada minimamente trovata una giustificazione, lontana o indiretta che sia. Sono un male da estirpare, per il mondo e per l’Islam. Prima ho detto bestie, beh ci ho ripensato: un animale non uccide per il gusto di uccidere, ma per la sopravvivenza. Questi uccidono civili, donne, bambini. Vuoi la guerra? Prenditela con un esercito. Questa non è una guerra, è una follia collettiva”.

Foto di Massimo Renzi, frontierarieti.com
8 dicembre 2015
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