giovedì 18 aprile 2024
«C'eravamo tanto amati...Religioni e relazioni di genere». Un Festival contro il pregiudizio
di Veronica Petrocchi
Lunedì 14 novembre si è svolta, presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale dell'Universtà salesiana, la 19esima edizione del Religion Today Film Festival che ha scelto come tema le relazioni di genere tra uomo e donna, ma anche tra donna e religione islamica.
16 novembre 2016
ROMA – Lunedì 14 novembre 2016 si è svolta, presso l’Università Pontificia Salesiana, la 19esima edizione del Religion Today Film Festival, un concorso internazionale costituito da varie giurie e caratterizzato da un tema che varia ogni anno. Il Festival, che ha sede a Trento, ha avuto come titolo C’eravamo tanto amati… Religioni e relazioni di genere. Katia Malatesta, direttrice artistica del Festiva si è detta colpita del «grande numero di commedie in gara, in un momento di grande crisi esistenziale e sociale nella quale viviamo». Il concorso cinematografico è un viaggio nelle differenze etniche, nazionali, culturali, ma anche in quelle strettamente filmiche, di stile, di linguaggi. La pluralità di religioni disegna una mappa di “superdiversità”, che si intreccia con le differenze sul modo di intendere i diritti civili e l’educazione, che varia nelle diverse culture. «In questa edizione» – continua Katia Malatesta – «abbiamo voluto far emergere le varie declinazioni religiose in relazione ai territori che abitano e la divergenza che esiste tra religioni consolidate e altre religioni minori, vittime di diaspora».

In questo ambito, anche le disuguaglianze di genere tra uomo e donna risultano potentemente amplificate, identificando le forme di marginalità nella classe sociale, la nazionalità o l’appartenenza ad una religione di minoranza. A fare da sfondo c’è sempre il problema dell’immigrazione e in Italia a pagarne i costi più elevati sono le donne pakistane, che soffrono di più la disoccupazione, sono vittime di un sistema consolidato di esclusione sociale, a causa anche della loro fede religiosa. Questa esclusione si nota anche nell’assenza di donne nelle istituzioni e nei sistemi religiosi, una pratica consolidata che riguarda tanto la Chiesa cattolica, l’Ebraismo ortodosso e l’Islam. Queste disuguaglianze, che non appartengono ai principi dei testi sacri, hanno generato movimenti femminili a tutti i livelli, che rivendicano i loro diritti. «In questo senso la filmografia islamica» – ha concluso Katia Malatesta – «ha iniziato a confrontarsi con temi fino a poco tempo fa considerati dei tabù: l’aborto, gli abusi sulle donne e la relazione di genere».

Antonio Ammirati, esperto di Semiotica del cinema e regista televisivo, ha sottolineato «la partecipazione dei cittadini soprattutto al dibattito cinematografico, dimostrazione di un tessuto sociale culturalmente attivo, una realtà che come italiano rivendico con orgoglio». I temi più trattati hanno riguardato gli scontri tra palestinesi-israeliani e il problema del nudo nella filmografia iraniana. Infatti la censura del cinema islamico ancora oggi non permette la diffusione di un film che al suo interno abbia una scena di intimità. «Per questo motivo» – aggiunge Ammirati – «gli artisti del cinema islamico contemporaneo si sono dovuti inventare altri linguaggi cinematografici, che non possiamo ignorare».

Tra gli ospiti c’era anche Catherine McGilvray, regista e sceneggiatrice italiana, ha raccontato la sua nuova avventura, firmata dall’autore Antonio Spavedra, Sulle orme di Fatima. Un documentario sulle figure femminili islamiche che ruota intorno alle relazioni di genere e si propone di indagare quale sia il rapporto che queste donne hanno con la religione in un paese straniero. Le donne protagoniste del documentario provengono principalmente dalla Tunisia, Bangladesh, Indonesia, Iran, appartengono a classi sociali diverse e sono di diverse generazioni, c’è anche una ragazza nata in Italia. «Si riscontra un’attenzione alla questione del velo, che riguarda il loro mostrarsi o nascondersi al mondo, fino ad arrivare a rappresentare il loro stare nel mondo». Catherine McGilvray ha fatto notare che «non si riscontra una banale sottomissione della donna verso l’uomo, ma la sottomissione riguarda la venerazione del velo, simbolo di una fede connaturata e parte integrante della vita».

Renato Spavedra ha posto invece l’accento su un problema molto comune al mondo islamic l’incomprensione del testo sacro. Molte persone, infatti, non capiscono l’arabo antico e pochi sanno che «Adamo nel Corano ha un nome femminile, è un’anima di Dio dalla quale si genereranno poi l’uomo e la donna.Anche per la cacciata dal Paradiso, il Corano ribadisce la colpa di entrambi davanti a Dio, sia dell’uomo sia della donna». Ecco quindi che l’incomprensione del testo sacro – ha concluso Spavedra – «porta al radicamento di posizioni estremiste, che sono il frutto della confusione che il mondo occidentale ha sull’Islam, ma soprattutto una confusione che gli stessi islamici hanno della loro religione».

La seconda parte dell’evento ha visto la premiazione del film vincitore del Religion Today Film Festival 2016: Mariam, della regista franco tunisina Faiza Ambah, scrittrice e prima giornalista donna dell’Arabia Saudita per il Washington Post. Con il punteggio massimo, Mariam è il film vincitore anche della sezione “Nuovi Sguardi”, la giuria composta dagli studenti della Facoltà di Scienze della Comunicazione Sociale. Il mediometraggio affronta con originalità la proibizione vissuta da un’adolescente, franco-marocchina, nel poter indossare il velo in una scuola pubblica francese. Lo spettatore vive insieme alla protagonista il suo disagio e l’emarginazione sociale, in una società che si professa libera, ma che però le impone dei vincoli netti nell’esercitazione della fede. Anche a livello tecnico il film si presenta valido e il montaggio rende piacevole il flusso del racconto.
 
Inoltre la giuria ci ha tenuto a mettere in rilievo un altro film in gara, Slor, in cui la regista danese, Charlotte Schioler, riesce a far emergere i pregiudizi nei confronti delle donne musulmane che indossano il niquab o il burqa. La critica sociale viene spezzata da scene comiche, in cui però si evidenzia una dominanza del genere maschile sulla donna.    
16 novembre 2016
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