martedì 7 maggio 2024
Può l'informazione essere divertente? Il caso di "Settimana Grezza"
di Sara Michielin
Matteo ha 24 anni e un progetto: raccogliere le notizie della settimana come “memoria storica” attraverso il suo podcast Settimana Grezza. Il target sono i giovanissimi.
18 maggio 2020

Oggi parliamo di podcast e giovani, in particolare di Matteo, un ragazzo che all'interno del mondo podcast ha deciso di sviluppare il suo curioso progetto comunicazionale.

Il concetto di podcast rappresenta una vera e propria rivoluzione nel campo mediatico della comunicazione, non vi sono dubbi. Ma che succede quando l’idea di podcast si scontra con l’esigenza di informare, e in particolar modo informare divertendo, con l’obiettivo di colpire target più giovani e sempre più restii al giornale cartaceo?

Abbiamo raggiunto per l'appunto Matteo, autore di un podcast settimanale intitolato Settimana Grezza

Matteo ha 24 anni e la passione per la radio, che lo accompagna fin da quando ne aveva 15, l’ha portato a sfornare un progetto che ha l’ambizione di essere “memoria storica” di ciò che avviene nel mondo oggi. Il suo impegno infatti è quello di  riportare le notizie più scottanti, settimana dopo settimana, ma in un modo molto particolare.

Matteo, la tua prima puntata risale al 4 febbraio, quando raccontavi della “Bestia” di Salvini. All’interno di quel primo audio definivi il tuo weekly podcast “un podcast che vuole raccogliere le notizie della settimana come memoria storica”, progetto molto interessante, da questo punto di vista. Come nasce questa idea?

«Devo fare una premessa. Io ho 24 anni, ma da quando ne avevo 15 ho sempre fatto radio. Settimana Grezza nasce dal desiderio e dalla volontà di sperimentare nuovi modi di comunicare, mettendo al centro l'aspetto informativo».

Come mai hai scelto proprio il mezzo podcast? Oggi viviamo in una società in cui l’immagine la fa da padrona in tutti i campi della comunicazione, in particolar modo per quanto riguarda informazione. Per quale motivo dunque la scelta di un mezzo audio?

«La scelta è dovuta appunto al fatto che da quando avevo 15 anni faccio radio, ed era dunque il mezzo più conosciuto per me. In più attraverso l’audio puoi costruire qualcosa nella mente di una persona in modo più facile, rispetto a dovergliela mostrare. Inoltre mi incuriosiva entrare su Spotify in questo modo, e dunque mi sono lanciato con un podcast».

Qual è il target al quale ti riferisci quando pubblichi una puntata del tuo podcast?

«Il mio obiettivo è quello di colpire il target dei miei amici, perché il podcast è nato parlando con queste persone, nate tra il 1990 e il 1996. In realtà, da quanto vedo dalle statistiche, sto andando a colpire una fascia di nati  tra 1995 e 2000, ragazzi che in questo momento sono all’università e alle superiori».

Ti senti giornalista quando fai questo tipo di informazione? Perché a tutti gli effetti porti persone che non sono informate sull’attualità, che non leggono i giornali e che hanno cinque minuti della loro giornata liberi ad ascoltare il tuo podcast, per sapere cosa sia successo. 

«In realtà io ho molti amici giornalisti ed ho collaborato anche con editori, quindi no, perché mi insulterebbero (ride). Questo perché il giornalista ha determinati compiti. Il mio focus è intrattenere, dando le informazioni che servono. Per un giornalista tutto deve essere certificato».

È dunque un tentativo di informare non in modo più leggero ma più interattivo, corretto?

«Io sono dell’idea che sia più facile ricordarsi una cosa più divertente o stupida, piuttosto che una cosa complessa e seria. Per esempio, di tutte le cose che ho appreso alle superiori, io mi ricordo più di tutto che Alessandro Manzoni è morto scivolando su le scalinate della chiesa di San Fedele a Milano, non mi ricordo nient’altro. È dunque tutto strutturato su di me: una cosa leggera si ricorda di più, essendo lo scopo quello di costruire una sorta di memoria storica con il fatto che più sarà influente nelle settimane successive, nel breve termine. Diciamo che facendo così il cerchio si chiude».

Riguardo la realizzazione del tuo progetto partiamo dalla scelta delle notizie, al montaggio per arrivare infine alla linea grafica che è sempre stata coerente fin dall’inizio. Sono comunque aspetti che comunicativamente rimandano un identità. Chi li cura?

«Curo tutto io, più che altro perché mi diverte. Poi posso sperimentare di più quando sono da solo rispetto a quando sono con tante persone: se sei da solo puoi decidere anche di stravolgere tutto. Dal punto di vista della linea grafica non c’è un motivo particolare, erano un po’ di anni che mi dedicavo a strane tipologie di collage, ho sempre usato Photoshop, e ho provato questa linea grafica dicendomi: “ok, seguiamola!”».

Per la scelta delle notizie come ti orienti nel panorama settimanale?

«Durante la settimana seguo tutte le notizie fra giornali e gruppi che parlano di politica. Io nel corso dei giorni mi giro da solo, nella mia chat con me stesso, le  notizie che hanno creato più discussione, oppure che sono state riportate da più giornali. Dopo di che mercoledì, quando cerco di capire cosa fare, mi leggo tutte queste notizie e provo a valutarle. Cerco poi di eliminarne alcune, dopodiché diventa un flow: inizio a scrivermi gli appunti, la scaletta, ma non c’è un vero e proprio ragionamento dietro, nel senso che le cose le costruisco di volta in volta in modo diverso».

Hai superato abbondantemente le sessanta puntate del podcast. Obbiettivi futuri?

«Non ci sono obiettivi futuri. In realtà l’obiettivo futuro resta quello iniziale: continuare a cercare di costruire questa memoria storica, continuare a testare tutte le cose che mi capitano davanti, anche per comprenderle meglio a livello comunicativo».

Se tu volessi dare un messaggio ai giovani che oggi sono totalmente avulsi  all’attualità, alla politica, a quello che accade nel mondo, che gli diresti, tu che hai come impegno quello di informare settimanalmente?

«In realtà mi sembra una cosa normale, nel senso che se oggi mettiamo insieme le notizie dei principali giornali italiani, le fake news, i giornali con i loro titoloni, siamo bombardati dalla stessa notizia, ma proposta in 50mila modi diversi, quindi ci sta che ci sia chi si stacchi da questa tipologia di comunicazione, da questa realtà di notizie infinita. L’unica cosa che direi, ed è l’unica cosa che provo a fare anche io nella normalità, è guardarsi attorno, fare un attimo di approfondimento, individuare dei soggetti, dei giornalisti, dei giornali che abbiano una visione del mondo, della realtà, bene o male simile alla propria, poi seguire quei canali in modo tale da non essere bombardati da 50mila notizie, ma soprattutto avere sempre cognizione di causa su quello che si legge.

È qui la differenza. Sono informato se ho un pensiero critico costruito bene, se ho una visione oggettiva di quello che sto leggendo e lo affronto con senso critico. Il fatto è che molto spesso la gente non ha senso critico e non è nemmeno obbligata ad averlo. Bisogna trovare dei fari nella notte, ma continuare a guardarli e seguirli con senso critico, perché magari un giorno dovrai cambiare faro, cambiare punto di riferimento».

 

 

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