martedì 7 maggio 2024
L’arte della vendita: una comunicazione a 360 gradi
di Chiara Rainaldi
La comunicazione di vendita spiegata da un’esperta: tutto quello che non sapevi di questo settore.
9 aprile 2021

Chintya Polck è una Trainer Coach nella promozione LVMH (Moët Hennessy Louis Vuitton SE), in particolare si occupa del celebre brand Christian Dior Parfums, presso il Duty Free dell’Aeroporto di Fiumicino. Di origini bulgare, è nata in Italia e da quasi 30 anni si occupa della vendita, accrescendo la propria esperienza di pari passo all’evolvere di questo settore. Ha vissuto direttamente il concretizzarsi di questo ambito in una vera e propria scienza e oggi ce ne parla:

 

Quando è cominciata la sua esperienza nel settore delle vendite e quando ha imparato cosa fosse realmente la comunicazione di vendita?

«La mia esperienza è cominciata 27 anni fa all’Aeroporto di Fiumicino nel settore della vendita di profumi e cosmetici di lusso, in particolare per il marchio Christian Dior. Partivo da zero, non avevo alcuna nozione specifica; l’esperienza e lo studio hanno fatto sì che elaborassi una cultura della comunicazione di vendita. È un ambito particolarissimo, vario e complesso per chi deve impararla, un po’ meno per chi ce l’ha intuitiva. Con l’esperienza quotidiana, possiamo dire che la comunicazione di vendita va ad essere sempre maggiormente ottimizzata e migliorata.  È proprio l’esperienza la miglior insegnante: bisogna farsi accettare dal cliente e catturare la sua attenzione, anche quello di passaggio. Dalle prime esperienze di vendita, sin da subito, si impara che la comunicazione di vendita è diversa dalla semplice comunicazione… si deve comunicare un po’ con tutti i sensi.»

 

È cambiata nel corso di questi anni la comunicazione di vendita, se sì come?

«Nel corso degli anni la comunicazione di vendita è andata affilandosi e ad accrescere la sua pertinenza perché deve essere sempre più specifica in quanto vi è una sempre maggiore e aggressiva concorrenza; bisogna essere sempre più convincenti, e quello che prima poteva essere un discorso più generico, ora deve diventare sempre più “expert”, un approfondimento sempre maggiore con più dettagli, esempi, nozioni, concetti da trasmettere al cliente. Inoltre, negli anni è andata a delinearsi come una vera e propria scienza, infatti, vi sono un’infinità di studi che spiegano proprio come entrare in empatia con la clientela. In tal senso gli oggetti di studio di tali scienze diventano i sensi, le posture, il tono, l’atteggiamento, le espressioni facciali, la psicologia ecc. In altre parole, è una convergenza di tante variabili che ha come obbiettivo lo studio della relazione, del “come approcciarsi” riuscendo a trasmettere sensazioni e desideri, suscitare interesse per un prodotto. Per fare un paio di esempi: ricalcare il tono del cliente può aiutare a farlo sentire più affine all’interlocutore e quindi essere maggiormente predisposto all’ascolto e alla relazione; così come il tenere le braccia conserte avrà ripercussioni negative sulla vendita poiché si sta trasmettendo un atteggiamento di “chiusura” che il subconscio del cliente capterà.»

 

Oltre ovviamente alla comunicazione verbale, quanti altri tipi di comunicazioni/linguaggi sono coinvolti nella comunicazione di vendita?

«Come dicevamo, la comunicazione destinata alla vendita è complessa, non è un “semplice parlare”. È una comunicazione che deve coinvolgere i 6 sensi del cliente. Infatti, oltre ai classici 5 sensi c’è anche qualcosa in più, di non concreto: l’immaginazione. Il discorso è molto ampio, infatti, ancor prima di parlare nello specifico dei sensi coinvolti, vi è un’introduzione sullo spazio e il tempo da dover fare: è importante rispettare gli spazi del cliente, evitando di avvicinarsi subito e troppo. Possiamo definirla proprio come una dimensione sensoriale spazio-temporale, poiché viene inclusa anche la tempistica adeguata dell’avvicinarsi, lasciando il giusto tempo per ambientarsi senza invadere lo spazio fisico altrui. Entrando poi nello specifico dei sensi, il primo approccio comunicativo è quello visivo, in cui la venditrice deve rispondere a certi criteri di compostezza, senza eccessi, in uniforme pulita e stirata, trasmettendo un senso di rispetto e sobrietà, anche tramite una postura che sia “welcoming”, accogliente con uno sguardo sorridente e nella gestualità. L’olfatto è altresì importante: bisogna indossare una fragranza che sia invitante e discreta, tante fragranze sono respingenti, esprimono il concetto di dominio e non bisogna dare questa impressione al cliente, anzi, bisogna avere un basso profilo olfattivo ma che rimanga piacevole. La comunicazione olfattiva è poi fortemente legata alla gustativa. Vendendo infatti profumi e prodotti con una loro fragranza, i clienti tendono ad associare ad un determinato odore un gusto e quindi la venditrice deve tentare, con la propria sensibilità, di indirizzare il cliente sul percorso olfattivo-gustativo più giusto per lui (ci sono ovviamente alcune tecniche, come ad esempio proporre due scelte olfattive molto differenti tra loro per capire da che famiglia di odori partire e arrivare poi al particolare). Anche il senso tattile fa la sua parte: è importante che il prodotto venga toccato provato e sperimentato dal cliente. Se parliamo di profumi, infatti, è opportuno che egli maneggi il flacone, ne senta il peso, ne apprezzi il colore, la trasparenza e la struttura… tutto ciò che può dare un’idea del prodotto stesso. Infatti, una cosa che viene insegnata nella vendita è quella di far sempre conoscere tattilmente il prodotto al cliente (si raccomanda anche qui di passare l’oggetto con una gestualità che sia armoniosa e attenta, quasi una danza, per sottolineare che si sta maneggiando qualcosa di prezioso).  Per quanto riguarda l’udito, la venditrice è la protagonista che non solo dà un’impronta nozionistica sul prodotto ma che deve essere brava a stimolare l’immaginazione del cliente, farlo viaggiare in un ambito metafisico: l’oggetto deve diventare qualcosa di meno concreto e più idealizzato, ambito, desiderato.»

 

Essendo in un luogo come l’aeroporto, quanto incidenza hanno le lingue, in relazione a quanto appena detto, e quanto influisce la celebrità del brand per cui lavora?

«Ovviamente in un ambito internazionale come può essere un aeroporto, la conoscenza almeno delle lingue principali è fondamentale. Nel tempo le lingue cosiddette “importanti” si sono un po’ modificate: era importante, anni fa, conoscere il giapponese, poi il russo, poi ancora l’arabo, ora il cinese… sempre per aprire la comunicazione alla clientela con più potere di acquisto. Di certo, il conoscere la lingua è importante, ma paradossalmente non fondamentale: la comunicazione cosiddetta Non Verbale è universale per certi versi e dunque là dove manca la conoscenza della lingua, vengono ad essere essenziali tutte le altre forme di comunicazione di cui abbiamo già parlato, quindi la comunicazione sensoriale. Ovviamente la fama del brand è altresì importante poiché, come insegna anche il ramo della comunicazione pubblicitaria, è un brand che parla anche da solo, con una storia alle spalle, presente su tutti i magazines e conosciuto da tutti. È un nome che garantisce qualità, gusto, lusso, ricerca, eleganza, savoir-faire. È innegabile quindi che con un brand così rinomato una piccola parte, potremmo dire circa il 30%, della vendita o della comunicazione necessaria alla vendita, è già espressa dall’importanza del marchio.»

 

Ci sono degli “steps” da seguire, oppure vede di volta in volta come muoversi con l’interlocutore?

«Sì ci sono. Ovviamente c’è un ordine di approccio nel momento in cui il cliente si avvicina: c’è un eye-contact, che è il primo contatto che si ha col cliente e questo è l’anticipo, l’“intro” potremmo dire, per il primo step: l’“incontro”. In questo step è fondamentale un’attitudine di accoglienza che non sia invasiva, lasciandogli il tempo e lo spazio per incuriosirsi, dimostrandosi disponibili e anzi entusiasti di poter offrire il proprio servigio ed esperienza qualora dimostri interesse ad avere informazioni e ad essere aiutato. Da qui comincia il secondo step: il “client incentered-step”, cioè, capire di cosa ha bisogno il cliente, senza pensare al prodotto che noi vogliamo vendere. È iniziata la vendita vera e propria. In base a quest’ultimo step vi è poi quello della “proposta” in cui si cerca di proporre soluzioni desiderabili che soddisfino le necessità espresse dal cliente. In questo caso ci si muove volta per volta in una direzione o in un’altra, a seconda di dove il cliente ci porta: è il cliente che conduce nel percorso che la venditrice gli apre; l’obbiettivo sarà arrivare allo step della “chiusura”, ne quale si concluderà la vendita avendo soddisfatto tutte le aspettative e i bisogni del cliente.»

 

Come ci si comporta quando obbiettano o rifiutano?

«Quando i clienti obbiettano o rifiutano, bisogna comunque mostrare rispetto per l’obbiezione. È importante riflettere sull’obbiezione e trovare un senso logico alla stessa, senza mai opporre muro contro muro, ma altresì, trasmettendo di aver raccolto e compreso i dubbi, ed eventualmente trovando argomentazioni che possano risolvere le perplessità, esprimendosi sempre con garbo. Si tenta, così, di avanzare una diversa opinione che possa generare un confronto. Ecco, l’importante nelle obbiezioni è il confronto: mai mettersi in una posizione di ragione o porre il cliente in una di “torto”. si possono quindi accettare i punti di vista negativi e cercare di convertirli in positivi, se non positivi quantomeno neutri. Una delle obbiezioni maggiori è sul prezzo: chiaramente, trattandosi di prodotti di lusso, una risposta a tale affermazione potrebbe essere “ha ragione, il prezzo è obbiettivamente importante, poiché corrisponde a una serie di ricerche sensoriali e di ingredienti pregiati, elementi ricercati e studi che ambiscono alla più alta qualità e che giustificano un prezzo superiore alla media”.»

 

Qual è l’approccio più sbagliato che si possa avere, tenendo conto di tutti i tipi di linguaggio coinvolti in questo scambio?

«L’approccio più sbagliato è quello di dare l’idea al cliente di non essere interessato a lui, di non aver troppo tempo da dedicargli o abbastanza pazienza. Presentarsi con le braccia conserte in un atteggiamento di chiusura, magari con un’aria annoiata o di sufficienza, un’espressione cupa non accompagnata da un sorriso di certo non aiuterà, anzi probabilmente la clientela eviterà di avvicinarsi. Postura, tono ed estetica non curati sono fattori di grande svantaggio… Pensiamo ad esempio al semplice masticare un chewing-gum… non è piacevole per un cliente. Un altro atteggiamento sbagliato, che un venditore o una venditrice possono avere, è giudicare un cliente dall’abbigliamento: niente di più sbagliato! Pensando di perdere tempo con persone che non acquisteranno nulla, tralasciano potenziali clienti estremamente facoltosi, proprio perché hanno basato il loro giudizio su un semplice abbigliamento dimesso. L’esperienza dimostra che le più “belle vendite” sono state fatte a clienti dal basso profilo estetico. Anzi molte volte clienti “griffati dalla testa ai piedi” hanno invece dimostrato poca capacità di acquisto. In generale possiamo dire che è sbagliatissimo giudicare e giudicare dall’aspetto in particolare, come è sbagliatissimo non dedicare la stessa attenzione a CHIUNQUE si avvicini ad un counter di prodotti del lusso poiché tali prodotti, oltre a dover essere venduti, servono anche a far sognare e un po’ di sogno va offerto a tutti, che comprino o che non comprino, che sia un’esperienza duratura poiché compreranno il prodotto e lo porteranno a casa o che sia una sperimentazione di qualche minuto all’interno dell’aeroporto. Chiunque si avvicini, lontano dal giudizio della venditrice, deve essere trattato con la stessa cura, interesse e professionalità.»

 

Ci sono termini che sarebbe meglio evitare e altri che invece hanno un particolare riscontro positivo?

«Certamente ci sono vocaboli più o meno adatti a comunicare i pregi di un prodotto del lusso. Nella descrizione del prodotto ad esempio, si dovrebbero evitare tutti quei vocaboli con connotazioni negative come “grasso”, “secco”, “eccessivo” per le creme ad esempio. Un altro esempio è quando si parla di fragranze: ci sono concetti estremamente personali, è inutile parlare di fragranze “dolci” o “forti”, poiché dolcezza e forza non sono concetti riconosciuti e condivisi universalmente. Alcuni odori estremamente persistenti ed intensi, per alcuni nasi possono essere leggerissimi, quindi non sono vocaboli utili a capire la necessità del cliente. Oltre ai prodotti anche nella vendita stessa si tende ad evitare l’utilizzo di termini come “spesa” o “comprare” poiché a livello psicologico queste parole fanno subito recepire al cliente un’imminente “perdita di denaro”. Al contrario, bisogna trasmettere una sensazione di arricchimento con l’acquisto del prodotto e quindi è opportuno sostituire questi termini con “possedere” un così prezioso oggetto, ad esempio, o anche “far suo”, “poter vantare” ecc. Altri vocaboli raccomandati, tornando alla descrizione dei prodotti, sono tutti quelli che esprimono sensorialità, bellezza, lusso, opulenza, luce, sensualità… Tutti questi vocaboli che sono più metafisici e che istillano nel cliente il desiderio di quel prodotto perché al prodotto stesso è legato un senso di “unicità”; ad esempio è raccomandato l’utilizzo di vocaboli come “luminoso”, “unico”, “esclusivo” o “naturale”.»

 

Cosa lascia questo tipo di comunicazione al cliente? Si tratta solo di vendita?

«La comunicazione giusta su una vendita lascia al cliente un’esperienza unica ed emozionante che non dimenticherà facilmente. Gli si regala un’esperienza legata a un mondo fatto di lusso, di sogno, di eleganza, di bellezza e di icone che rimarrà nella memoria. È uno scambio tra cliente e venditrice, poiché il cliente che si rilassa con una buona venditrice spesso comunica e racconta esperienze personali, apre le finestre del proprio mondo istaurando un rapporto di scambio che diventa confidenziale, di esperienze prettamente umane. Non si tratta solo di vendita, si tratta di passione, di conoscersi, di empatia, di desiderio di far vivere al prossimo, anche se solo per pochi minuti e senza uno scopo di lucro, una bella esperienza. Si tratta di offrire sé stessi e la propria professionalità, la propria passione e il proprio amore, dandolo agli altri.

Poi certo, se dovessi applicare questo discorso all’ambito del marketing, esso si tradurrebbe in nuove fidelizzazioni e simpatie da parte del pubblico nei confronti del brand poiché, pur non comprando nulla, la loro esperienza di contatto col brand stesso è stata più che piacevole, ma oltre a ciò, il discorso rimane più che altro umano.»

 

Quanta importanza danno le aziende a questo tipo di comunicazione? E la sua?

«Le aziende cominciano a dare sempre maggior importanza alle tecniche di comunicazione, che fanno parte delle tecniche di vendita. La mia in particolare, offre tre training regionali annui impostati sull’informazione di nuovi prodotti e tecniche di vendita aggiornate, più un training mondiale che raggruppa molti Paesi una volta l’anno. In particolare, si tratta di radunare circa 500 persone, che sono le venditrici del “Travel Retail” EURAFME (Europa, Africa e Medio Oriente) per aggiornarle ed informarle sulle novità nel commercio e nella vendita.»

 

Che consigli si sentirebbe di dare a chi fa il suo stesso mestiere, che venda profumi di lusso o meno?

«Innanzitutto, di avere la passione per questo mestiere e la disponibilità ad aiutare e offrire un bel servizio agli altri, il resto viene da sé. Un consiglio che non posso mancare di dare è di sorridere, sorridere e sorridere!!»

 

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