Guardare una situazione
da spettatore esterno fornisce sempre un punto di vista più
obiettivo e ci conduce a conclusioni diverse. Quando ero studente del
liceo vivevo la scuola diversamente, la sentivo opprimente, spesso
monotona, e non vedevo l'ora finisse, convinto che avrei potuto
finalmente cavalcare il vento della libertà. Eppure ora che sono
passati già quattro anni dal mio diploma, ammetto di provare una
certa nostalgia. Così, spinto dalla curiosità, sono tornato nella
mia vecchia scuola, il liceo Classico e Linguistico Aristofane, che si
trova nel quartiere Tufello a Roma. Ero curioso in particolar modo di vedere
come fosse cambiato l'ambiente scolastico, sia per i professori sia
per gli studenti.
Appena arrivato ho notato subito il cancello principale chiuso invece che aperto come quando ero studente. All'ingresso alcuni dei bidelli raccoglievano documenti dei visitatori esterni, necessari per ricevere un badge ed entrare. Sapevo che l'arrivo della nuova preside aveva portato un irrigidimento del regolamento, ma sono rimasto sorpreso nel vedere che addirittura i professori dovessero indossare il cartellino di riconoscimento. Per il resto potrebbe sembrare sempre la solita scuola, come se nulla fosse cambiato, eppure di cambiamenti ce ne sono stati, non solo nell'organizzazione scolastica.
Incontrando alcuni dei miei vecchi insegnanti ho notato uno sguardo diverso, come di stanchezza, non prettamente fisica, ma mentale, la stessa che ti colpisce quando cedi un po' alla rassegnazione. A questi cambiamenti hanno contribuito anni di politiche scolastiche disastrose, che hanno vessato il corpo docenti, però ultimamente si stanno creando delle crepe anche nel rapporto con gli studenti, che sembrano aver perso di vista la scuola come luogo di educazione e civiltà.
Mi sono fermato a fare due chiacchiere con la mia insegnante di greco, che ha sempre avuto una pazienza smisurata con me e la mia classe, encomiabile anche per il solo fatto di aver provato a farci tradurre in modo decente una versione. La professoressa L. (per privacy della fonte) mi ha accolto con un gran sorriso, che però ha perso quando ha iniziato a parlarmi della situazione attuale a scuola, di come sia diventato difficoltoso riuscire a gestire i nuovi studenti. Il compito di un insegnante è certamente delicatissimo, perchè si ritrova a essere partecipe del processo educativo di un gruppo di giovani, e capita sempre più spesso che si crei del contrasto con le famiglie.
Nel momento in cui un ragazzo viene punito a scuola, per essersi comportato male, la normalità prevede che poi venga rimproverato a casa, ma L. mi racconta che un insegnante che punisce un ragazzo (con una nota ad esempio), deve aspettarsi la visita dei genitori che lo difenderanno a spada tratta. La scuola non riesce a rendere responsabili studenti e genitori, e di conseguenza insegnare in un clima di conflitto diventa praticamente impossibile. Certo non sarebbe corretto dire che durante i miei anni di liceo eravamo tutti disciplinati, ma sicuramente questo fenomeno era meno diffuso.
Anche altri insegnanti mi
hanno raccontato di aver perso un po' la passione che avevano a
inizio carriera, quell'entusiasmo che rende possibile fare questo
lavoro, il divertimento di trasmettere conoscenza alle nuove
generazioni. Addirittura la professoressa L. conclude la nostra
conversazione raccontandomi che l'anno scorso è stato il primo in cui si è
messa a calcolare quanto tempo le resta prima di andare in pensione.
Mi saluta con il sorriso con cui mi aveva accolto e rivolge la sua
attenzione ad una studentessa, seduta vicino a noi, che aveva bisogno
di aiuto con una versione di greco. Anche se non era la sua ora di
lezione si è dedicata a lei volentieri, a dimostrazione del fatto
che quel desiderio di insegnare non si è ancora esaurito.