giovedì 25 aprile 2024
Referendum sulle trivelle: la vera scelta è quella culturale
di Giorgio Marota
Che cosa andremo a votare il 17 aprile? Confronto tra le ragioni del sì e quelle del no, per cominciare a discuterne. Mentre gli italiani sembrano molto confusi.
26 marzo 2016

«Io un’idea sulle trivelle non me la sono ancora fatta, ma forse perché a qualcuno conviene così. Provate a chiedere qui, tra le persone che sono al mercato, vi risponderanno tutti come me». Gianni vende vestiti in un mercato di Roma, quello di piazza Vimercati, e il 17 aprile come tutti gli italiani è chiamato ad esprimere una netta presa di posizione: «Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?». Nella stessa situazione si trovano anche tante altre persone, che abbiamo intervistato proprio al mercato seguendo il suggerimento di Gianni e che potete vedere nel video qui inserito: aveva ragione, la maggior parte di loro è poco informata, accusa i media di manipolazione, si basa sul “sentito dire” o peggio ancora, non sa neanche cos’è il referendum sulle trivelle.

Eppure il voto è alle porte, meno di un mese e l’Italia si troverà a decidere su un tema importante attraverso uno dei pochi strumenti di “democrazia diretta” che ha a disposizione. Il Parlamento si è già espresso su questa tematica: le società petrolifere non potranno più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre petrolio e gas in mare entro le 12 miglia, ma le concessioni già ottenute rimarranno senza limiti di tempo. Dunque chi vuole - in prospettiva -eliminare le trivelle dai mari italiani deve votare sì, chi vuole che le trivelle restino senza una scadenza deve votare no. Per abrogare la norma è necessario che barrino la casella con il “sì” il 50% + 1, in caso contrario o se non venisse raggiunto il quorum, tutto rimarrebbe così come previsto dalla legge.



Il referendum è stato voluto da 9 regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Molise, Liguria, Puglia, Veneto e Sardegna), preoccupate per le conseguenze delle estrazioni sul turismo e sull’ambiente. Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana un referendum non arriva su proposta del popolo (le famose 500 mila firme raccolte), ma bensì da istituzioni locali: ne bastavano 5, ne sono arrivate 9. E c’è varietà di schieramenti politici: il leghista Zaia (presidente del Veneto) ed il forzista Toti (Liguria), rappresentano la destra, mentre le altre 7 regioni sono governate da giunte del Pd. Ma nonostante la maggioranza, c’è spaccatura anche all’interno della sinistra: il governatore della Puglia Emiliano ad esempio è tra i più attivi per favorire il “sì”, il sindaco di Bari (capoluogo della regione) Antonio Decaro, anch’esso democratico di sinistra, ha invece chiaramente espresso la sua volontà di votare scheda bianca. Per il premier Renzi si tratta di un referendum “inutile”, che costa 300 milioni alle casse pubbliche.



Da una parte c'è il Comitato “Vota sì per fermare le trivelle”, a cui hanno aderito oltre 160 associazioni, ambientaliste e dei consumatori. Dall'altra il gruppo dal nome "Ottimisti e razionali" che comprende nuclearisti, compagnie petrolifiche ed energetiche. Secondo i calcoli di Legambiente (a favore del “sì”) le piattaforme soggette a referendum coprono meno dell'1% del fabbisogno nazionale di petrolio e il 3% di quello di gas, ma i due terzi delle piattaforme ha sedimenti con un inquinamento oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie. Tradotto: l’estrazione è poco utile e molto dannosa. I fautori del “no” però la pensano diversamente: l'estrazione di gas e petrolio è attività sicura e viene costantemente controllata dalle autorità come l'Ispra,l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l'Istituto Nazionale di geofisica, di geologia e di oceanografia. Il gas, spiegano gli “ottimisti e razionali” non danneggia l'ambiente e le piattaforme permetterebbero 10 mila posti lavoro, portandoci a 4,5 miliardi all’anno di risparmio sulla bolletta energetica.

Per chi voterà “sì” i miglioramenti nella nostra economia causati dalle estrazioni sono invece una grande bugia: dopo il rilascio della concessione, il petrolio diventa proprietà di chi lo estrae non portando nessun beneficio nelle tasche degli italiani. Per le attività in mare, spiega il Comitato per il “sì”, una società petrolifera versa all’Italia solo il 7% del valore del petrolio e il 10% di quello del gas, con sgravi fiscali notevoli. Coi numeri però si può giocare, ed ecco l’altra faccia della medaglia, quella sposata dai “no”, anch’essa corretta: in totale sono comunque 800 milioni di tasse, 400 di royalties e concessioni. Meglio di niente.

E il turismo? Chi voterà “sì” spiega che le trivelle mettono a rischio quella che è la vera ricchezza del Paese, con il rischio di incidenti e disastri ambientali dietro l’angolo. Quasi 3 milioni di persone lavorano grazie al turismo, per un fatturato di 160 miliardi di euro, ma anche pesca e patrimonio culturale potrebbero subire danni, mandando sul lastrico rispettivamente 350.000 persone e 1 milione e 400.000 persone. L'attività estrattiva del gas metano – controbattono invece gli “ottimisti e razionali” – non danneggia in alcun modo il turismo e le altre attività. Il dato che lo dimostrerebbe è il 50% del gas che viene estratto attualmente dalle piattaforme che si trovano nell'alto Adriatico: nessuna delle numerose località balneari sulla costa ha avuto mai problemi.


Il vero quesito però sembra essere quello che chiede ai cittadini una vera presa di posizione sull’utilizzo dei combustibili fossili nel nostro Paese. Votare sì, oltre ad abrogare la singola norma, aprirebbe a nuovi scenari culturali, comunicando una risposta ben precisa: gli italiani chiedono alla propria classe dirigente di smetterla con il petrolio e di investire sulle rinnovabili. Un’utopia per chi crede nell’indispensabilità dei combustibili e nel fatto che l’Italia non può ancora sostenersi solo ed esclusivamente con energie alternative. Una consapevolezza comune però c’è: il petrolio da solo non basta più e le “energie pulite” sono il futuro di un mondo che cerca una svolta su un tema di vitale importanza come il rispetto dell’ambiente. Per non rendere inutile la Cop 21 di Parigi e per dare un futuro migliore ai nostri figli.


26 marzo 2016
AREA-
Chiesa e ambiente: progressi e sfide
di Bipin Joseph e Cléophas Kambalenga
Per la prima volta un Papa avrebbe dovuto partecipare alla Conferenza Internazionale sul Clima (COP28) a Dubai, ma Francesco ha dovuto rinunciare al viaggio su richiesta dei suoi medici. Tuttavia, il suo messaggio rimane: quello di un'ecologia sociale in cui l'uomo non sia dominato dalla tecnologia, ma considerato nella sua dignità
8 gen 2024
Dal clima al capitalismo. Cosa chiedono i Fridays for Future in Italia e nel mondo
di Harsha Kumara Chaminde Bandara THENNAKOON MUDIYANSELAG
I giovani di tutto il mondo hanno marciato per il loro futuro, comprese 70 città italiane. Ecco i loro slogan e le loro promesse
29 mar 2022
Inquinamento industriale: cosa le multinazionali stanno (forse) facendo
di Daniele Paoloni
Nell’ultimo decennio le emissioni atmosferiche generate dal settore industriale sono fortemente diminuite grazie a nuove rigorose normative, miglioramenti dell’efficienza energetica e nuove tecnologie produttive. Molte società stanno rapidamente diventando “green”, ma si tratta solamente di una facciata oppure vogliono veramente cambiare le cose?
25 mar 2022