Si è tenuto a Roma dall’11 al 15 dicembre 2018 la XXII edizione del Tertio Millenio Film Fest, il festival del cinema del dialogo interreligioso organizzato dall’Ente Fondazione dello Spettacolo e dalla Rivista del Cinematografo. A partecipare moltissimi registi da diverse parti del mondo e di diverso credo religioso.
A portarsi a casa il premio più alto è stato il film dell’australiano Paul Barakat: Kairos. La trama narra la vicenda di Danny (Chris Bunton), un ragazzo con la sindrome di Down il cui sogno è quello di diventare un pugile per ottenere rispetto dalle persone che gli stanno attorno. Un violento incidente farà cadere Danny e John (Jerome Pride), il suo allenatore, in due diverse crisi che coinvolgeranno le loro rispettive paure. Starà ai due doverle affrontare.
Kairos non è un film perfetto, anzi, la sceneggiatura non riesce fino in fondo a tenere in piedi i due luoghi principali della vita di Danny: la palestra e il laboratorio per artisti disabili. Non si avvicina mai veramente alle emozioni che vivono i personaggi dentro questi spazi e non li approfondisce adeguatamente.
Ciò che rende Kairos un film da vedere non è nemmeno il linguaggio tecnico (un buon esercizio di stile), ma la straordinaria capacità del regista di mettere in piedi un film il cui protagonista fosse realmente con la sindrome di Down. Non c’è trucco nella fisionomia di Danny, Chris Bunton è un ragazzo veramente con la sindrome, ma la sua ottima prova attoriale supera qualsiasi apparente disabilità.
In questo sta la forza del film, tutti i ragazzi Down nel film lo sono per davvero, ma la bravura del regista nel saperli trattare come degli attori “normali” (mi si passi questo termine) porta il film a essere un’opera riuscita.
Come ha detto Paul Barakat ritirando il premio “questo è un film sull’abilità”, e lo è per davvero, sull’abilità del regista e degli attori che hanno avuto il coraggio di combattere contro un sistema di stereotipi cinematografici che vuole il “diverso” come un ruolo secondario. Paul Barakat ha dimostrato come tutte queste barriere vadano abbattute, perché per poter mettere a frutto il talento bisogna dare la possibilità a tutti di mettersi in gioco.