In questi giorni è possibile visitare, presso il Museo delle Arti del XXI secolo di Roma, l’esposizione antologica di uno dei maggiori fotografi contemporanei italiani.
In una dicotomia di luce ed ombra, reportage e poesia, la mostra “Paolo Pellegrin. Un’antologia” (MAXXI 07 novembre 2018 - 10 marzo 2019) accompagna il visitatore in un cammino fisico e mentale che si dipana lungo tutto il percorso espositivo. In un dialogo visivo di sorprendente intensità emotiva, l’esposizione si sviluppa in due ambienti cromaticamente antinomici.
Il primo spazio, nel quale si è introdotti, è infatti scuro e dominato dal colore nero. In quest’atmosfera vi è una testimonianza fotografica, che ha come intento quello di raccontare l’uomo nella sua più intima fragilità, dimensione che emerge in modo particolare e dirompente all’interno della tragedia, ambito che qui Pellegrin ci consegna in tutta la sua purezza, senza che vi siano addolcimenti o superficialità d’interpretazione. La lettura degli scatti è personale e spesso dolorosa, soprattutto di fronte alle immagini più emotivamente difficili. Ci si trova a riflettere nella propria intimità, sbattuti dinnanzi a tematiche come la guerra, la distruzione, la morte, l’usurpamento della libertà, ma anche dinnanzi alla delicata e amara bellezza dell’essere umano nell’espressione delle sue emozioni più delicate e tormentate.
Il secondo ambiente è dominato dalla componente cromatica del bianco e da una luminosità che quasi stordisce l’occhio, ormai abituato alla luce dell’“antro”. Qui viene raccontata una natura profonda e dirompente, che ancora una volta può essere letta in modo antropologico come elemento selvaggiamente vitale contrapposto alla fragilità umana.
Testimonianza della metodica progettualità e della complessità del processo creativo che ha preceduto tali scatti è l’intero corridoio dedicato a contenere gli appunti, i quaderni e gli schizzi dell’autore.
Pellegrin è un fotografo autorevole e capace di fondere armonicamente in sé il ruolo di reporter e artista. Rispettoso narratore dell’umana odissea, Pellegrin indaga attentamente gli spazi interiori del comportamento umano, utilizzando in modo fine e penetrante il complesso e potente linguaggio della fotografia, “sollecitatrice della coscienza dell’uomo”.