
Tornando verso casa dopo una lunga giornata trascorso all'università, ascolto in macchina una canzone di qualche anno fa, del rapper Fabri Fibra con la collaborazione di Gianna Nannini. Il brano in questione, intitolato “In Italia”, nel ritornello cantato proprio dalla Nannini, ad un certo punto usa queste parole: «Sei nato e morto qua. Nato e morto qua. Nato nel Paese delle mezze verità». L'Italia è davvero il Paese delle mezze verità?
Probabilmente sarebbero d'accordo i collaboratori di Reporter Senza Frontiere (RSF), una organizzazione non governativa, che ha come obiettivo la difesa della libertà di stampa a livello internazionale e che ci colloca nel suo ultimo rapporto al 52° posto della classifica mondiale della libertà di stampa. Una classifica che nel 2016 ci vedeva al 77° posto,che abbiamo risalito in seguito all'assoluzione dei due giornalisti Nuzzi e Fittipaldi nel processo Vatileaks, e che fa ben sperare, anche se la posizione dell'Italia rimane decisamente bassa.
Bisogna, però, prendere questa classifica con le pinze, per via di alcuni discutibili criteri adottati per stilarla. Per prima cosa sembra abbastanza strano che il solo processo Vatileaks sia valso ben 25 posizioni, ma ancora più strano è che un processo portato avanti dallo Stato Vaticano influisca sulla classifica di quello italiano, che di fatto non era coinvolto, se non per la nazionalità dei due giornalisti.
Tra le motivazioni riportate da Reporters sans Frontiers, che ancora ci legano a questo 52° posto, oltre a sei giornalisti sotto scorta per minacce mafiose, c'è anche Beppe Grillo. Il leader del Movimento 5 Stelle, con la sua crociata contro i mezzi di informazione tradizionali, contribuisce di fatto a limitare la libertà di stampa in Italia. Eppure spesso i 5 Stelle hanno spesso usato come arma nelle proprie invettive questa classifica, cosa paradossale se si considera che Grillo è una delle cause del cattivo ranking italiano; lo stesso Grillo che continua a non voler smorzare i toni dei suoi sproloqui contro la stampa e che anzi cavalca il fenomeno delle fake news, molte delle quali postate sul suo (forse) blog e le restanti create e diffuse dal suo elettorato.
Eppure, per quanto gravi le azioni di Grillo e le minacce mafiose, possibile che l'Italia si trovi ben 10 posizioni sotto il Burkina Faso? Viene naturale chiedersi quali siano i criteri utilizzati da Reporters sans Frontieres. Un recente articolo de Il Post si occupa proprio di approfondire le modalità con cui viene stilata questa classifica. Un primo punteggio (ScoA) viene assegnato sulla base di un'analisi qualitativa, rilevata tramite questionario compilato da gruppi, associazioni e giornalisti scelti dalla RSF. Poi si procede tramite analisi quantitativa calcolando il numero di giornalisti uccisi o minacciati, producendo un secondo punteggio (ScoB) in cui un omicidio pesa di più di un arresto. Per dare la classifica finale viene utilizzato il punteggio più alto fra i due.
Il metodo è decisamente complesso, ma in sostanza si basa molto su opinioni soggettive di persone o enti scelti dalla RSF, ed è per questo che il grado di attendibilità di questa classifica andrebbe riconsiderato dalla comunità giornalistica. Di certo la professione del giornalista è diventata un mestiere sempre più complesso e sempre meno pagato, cosa che ha portato anche una notevole diminuzione della qualità dei lavori prodotti, quindi non deve sorprendere il repentino aumento delle fake news.
Sarebbe sbagliato, però, sminuire il lavoro di tutti coloro che fra mille difficoltà, lavorano seguendo l'etica e la deontologia di questa professione, assegnando loro un posto in una classifica di discutibile oggettività.



