venerdì 6 dicembre 2024
Una giovane alla Chiesa: «Provate e “buttatevi in mezzo”». Cerchiamo autenticità e umanità
di Chiara Manì
Giovani e Chiesa: due mondi che sembrano sempre più distanti, ma che possono avvicinarsi se si è disposti a mettersi in gioco con autenticità e umanità. Ci parla di questo Giuditta Garufi
28 maggio 2024

 In un tempo caratterizzato da forti incertezze e buio esistenziale, mille giovani si sono ritrovati insieme a Cagliari dal 24 al 27 aprile per il Forum MGS, un evento che si tiene ogni quattro anni e che aveva come tema “Chiamati alla Speranza”. E tra questi giovani c’era anche Giuditta Garufi, studentessa siciliana che vive a Roma, appartiene al Movimento Giovanile Salesiano (MGS) ed è animatrice all’oratorio "Santa Maria della Speranza”, ci ha raccontato la sua esperienza toccando tematiche attuali come i giovani, la speranza e la Chiesa.

 

C'è un momento che ti ricordi particolarmente del Forum?

«Sì, per me è stata molto significativa la veglia di preghiera del 25 sera al parco di Monte Claro. Diciamo che il momento di preghiera ha “colpito nel segno” nel cammino che sto vivendo in questo momento. Ha fatto riaprire certe ferite che era bene riaprire; ha fatto venire domande nella quotidianità, perché chi è l'uomo se non colui che si fa le domande?»

 

E la speranza? Cosa hai scoperto in più su questa parola?

«Noi universitari abbiamo avuto in un pomeriggio un laboratorio che ci ha permesso di riflettere sul significato di speranza e su come poterla non soltanto incarnare, ma anche portare nei nostri ambienti, laddove vediamo che c'è gente che non ha speranza. Ed è stato bello perché, non da quello che è venuto in mente solo a me, ma dal confronto con gli altri, ho potuto scavare più a fondo, rispetto a quelle tenebre in cui stavo vagando riguardo alla speranza. Mi ha aiutato anche a capire che speranza è quella motivazione, cioè quella fiammella, che da dentro ti dà la forza di andare avanti e di superare anche qualche limite che ti blocca». 

 

Qual è la tua speranza?

«Speranza, nel senso di quel “qualcosa che mi tiene in piedi" è il fatto che, per quanto io mi disperi del contrario, non sono da sola».

 

Cosa diresti ad un giovane che ha perso la speranza o che non la vede nel futuro?

«Gli chiederei se ha una persona con cui potersi confidare e di cui si fida o gli direi, se non la avesse, di cercarla. Perché la speranza riaffiora nel momento in cui riesci a dar nome a quello che vivi, a quello che provi, ma non riesci fare questo da solo. Perché puoi essere la persona più obiettiva, critica e autocritica che possa esistere, ma l'occhio di una persona che ti vuole bene, ti conosce, che sa quello che vivi e su cui sai di poter contare, verso cui e per cui c'è una fiducia reciproca, è già un punto di partenza ottimo. Quindi, nel momento in cui dai nome alle cose, condividi il peso di quello che ti appesantisce, potresti non trovare soluzione, ma inizi a vedere più chiaramente tutto». 

 

Cosa diresti alle persone che ritengono che i giovani siano senza speranza? 

Io direi: «Parla veramente con un giovane e non attenerti a quello che la stampa mainstream dice di essi o comunque agli stereotipi e alle tante altre cose che si dice di loro». Perché è ovvio che ci sono ed esistono dati che testimoniano di questo dramma esistenziale (che è anche reale, perché è comunque un dato di fatto che ci siano molti giovani in ricerca che non trovano lavoro, che non trovano anche solo la forza per andare avanti e per capire cosa stanno a fare nel mondo), però, secondo me, ci sono anche tanti altri motivi che ci stanno dietro. Uno di questi, è che magari nessuno gli ha mai chiesto cosa vogliono fare e perché la loro presenza in questo mondo ha un senso, che non è per forza legato ad una fede cristiana cattolica. Sì, semplicemente a trovarne un senso».

 

Cosa hanno trovato quei mille giovani nella Chiesa?

«Sono persone che si sono fatti domande e che hanno trovato qualcuno che non desse loro risposte, ma che li aiutasse a continuare a porsi domande. Perché al Forum ciascuno stava in punti diversi della fede (anche tra quei mille c'è chi va a Messa ogni giorno e chi no) ma comunque sono persone in ricerca. In ricerca tramite un aiuto speciale, che è quello della fede in cui sono stati accompagnati, educati, o che hanno riscoperto. Poi ciascuno a modo proprio, ma è bello anche per questo». 

 

Perché, invece, tanti giovani sono lontani dalla Chiesa? Non si fanno domande?

«Per questo posso riportarti anche la mia esperienza. Io mi sento fortunata, perché sono cresciuta con una famiglia che mi ha educato alla fede, ma mi ha anche lasciato libera all'interno di questa fede e di fare il mio percorso. E in questo mio percorso mi sono ritrovata anche ad incontrare persone che non vogliono saperne niente di Chiesa. Secondo me lontano dalla Chiesa non vuol dire che non si facciano domande. Magari, semplicemente, se le fanno, ma in maniera un po’ diversa. Non hanno niente in meno rispetto agli altri, però semplicemente hanno trovato risposte altrove (che sia in religioni orientali o magari nella scienza); poi si ritrovano in un punto in cui non riescono più a darsi risposte razionali o di altro tipo ed è li che sta ad ognuno fare esperienza di quel qualcosa, non che ti fa cambiare idea ma che ti fa vedere da un'altra prospettiva. Secondo me, tra noi che siamo dentro la Chiesa e chi è lontano dalla Chiesa è bello che ci sia questo confronto. Non per dire che uno ha più ragione dell'altro, ma semplicemente per vedere come gira il mondo al di fuori dalla nostra bolla (che sia la nostra bolla di Chiesa o che sia la nostra bolla di atei)».

 

Cosa cercano i giovani in un religioso o sacerdote?

«L’autenticità. É importante riuscire a rimanere autentici, conoscere il linguaggio dei giovani, ma non per questo banalizzare il messaggio della Chiesa che il sacerdote o religioso ha. E allo stesso tempo vivere la realtà in cui ognuno si trova. Cioè né volare su castelli in aria, nè ridursi alla mondanità».

 

Cosa diresti ad un sacerdote o ad un religioso che ha il desiderio di stare con i giovani, di dare speranza, di essere autentico ma che è fermato dalla paura di avvicinarsi?

«Non vorrei dire una cosa banale, ma direi “provateci”. Alla fine tutta la nostra quotidianità è costellata di piccole sfide che dobbiamo intraprendere. Secondo me questa è una di quelle. Se non proviamo a “buttarci”, ci tneghiamo anche solo quella piccola percentuale di riuscita. Il che non significa che, nel momento in cui ti butti in mezzo ad un gruppo di giovani, li conquisterai subito tutti; magari ti prenderanno in giro, troveranno un motivo per prenderti per matto ma è comunque un seme che tu getti. Non significa che devi pretendere di ottenere chissà quali obiettivi ma puntare ad instaurare una relazione con l’altro. Perché la relazione tra un religioso e un laico è una relazione normale. Ciascuno con le sue diversità e con la sua realtà umana. Alla fine è l’umanità della persona che si connette. Al di là di colletti, croci, veli, gonne e simili∟.

 

Così vedi il sacerdote o il religioso del futuro?

«Ma anche dell’oggi! Mi sento fortunata nel dire che ho conosciuto di questi esempi, persone così, con cui mi sono legata in bei rapporti umani».

 

Sei felice nella Chiesa, nel tuo oratorio, nella realtà in cui sei?

«Sì, perché so che si può sempre progredire dal momento in cui si è disponibili a non fermarci nel nostro orticello e al vedere sempre un bene maggiore, che sia il bene comune o che sia il progetto di Dio». 

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