venerdì 26 aprile 2024
Vanno bene le tecnologie, ma dobbiamo imparare ad affrontare il mondo di persona
di Lorenzo Cianflone Mottola
I giovani d'oggi si rapportano tra loro e con i più grandi in maniera diversa rispetto al passato. Ma ciò che vediamo sui social è vero? Intervista con la scrittrice Chiara Maggi
26 maggio 2020

Come comunicano i nativi digitali? I giovani d'oggi si comportano come quelli di un tempo? Appare chiaro come i social media e tutte le nuove forme di comunicazione digitale stiano cambiando profondamente il modo di comunicare tra i giovani. Le relazioni tra amici e partner, ma anche all'interno di un contesto familiare, sono in costante evoluzione. 

Ma, esattamente, cosa comporta questo rapido progresso della tecnologia nella comunicazione giovanile? Lo chiediamo a Chiara Maggi (21), scrittrice e studentessa romana. Dopo essersi diplomata al liceo classico "Giulio Cesare", nella sua città natale, Chiara ha iniziato a frequentare la facoltà di informatica dell'Università "La Sapienza", ma ha da sempre la passione per la scrittura. Scrive storie d'amore, concentrandosi soprattutto sui giovani. Nei suoi romanzi, i ragazzi hanno principalmente un approccio vis a vis, parlano quasi sempre di persona, guardandosi negli occhi. Gli oggetti intermedi, come, ad esempio, i cellulari, sono ridotti al minimo. 

Tra le sue pubblicazioni, troviamo: Balla con Me (2015), romanzo disponibile in versione integrale sulla piattaforma Wattpad; L'Anfora (2018), disponibile sia in versione cartacea che su Amazon; Patto di Sangue (2019), testo ispirato ad Animali Fantastici, disponibile in versione integrale sulla piattaforma Wattpad. Inoltre, sempre sulla piattaforma Wattpad, Chiara pubblica molti racconti brevi.

Chiara, come sta cambiando la comunicazione giovanile nel corso degli anni?

«Chiaramente, tutto ciò che posso sapere io, in ventun'anni di vita, riguarda le esperienze che ho vissuto nella mia fase di crescita o ciò che mi hanno raccontato i miei genitori e i miei nonni. Quello che ho sempre sentito dire è che, fino a venti, trent'anni fa, i ragazzi erano soliti stare all'aperto, giocare, scherzare, divertirsi e fare amicizia con una facilità che attualmente non riscontro. Essendo io scrittrice, mi baso molto sulla realtà quotidiana e credo che la tecnologia, che è chiaramente qualcosa da cui abbiamo tratto molti benefici, abbia avuto anche molti riscontri negativi, poiché è appunto andata ad influire su alcune abitudini molto belle e genuine delle generazioni precedenti. Questo significa che non è più tanto frequente la comunicazione faccia a faccia; si parla sempre più spesso tramite social network e chat. Persino le telefonate non si fanno più tanto come un tempo, perciò non ci si sente quasi neanche più attraverso la voce».

Come stanno influendo i social media sulle relazioni interpersonali tra i giovani?

«Penso che i social media costituiscano un'arma a doppio taglio. Infatti, se da un lato, permettono di mantenere un contatto tra persone che non potrebbero vedersi direttamente, abitando, ad esempio, in città o nazioni diverse, dall'altro, anche persone che potrebbero stringere un legame diretto usano i social frequentemente, quasi sostituendoli alla vita reale. So di persone che si conoscono sui social e si fidanzano senza nemmeno essersi prima visti dal vivo. Quindi, molto spesso, non ci sono più quelle emozioni che potrebbero nascere da un incontro dal vivo».

Pensi che i giovani si sentano a disagio ad affrontare determinati argomenti dal vivo e, perciò, preferiscano scriversi, ad esempio, su WhatsApp?

«Sicuramente WhatsApp rappresenta una sorta di barriera, ti permette di nasconderti dietro uno schermo, non ti vincola a nessuno e mette una sorta di limite a tutte quelle discussioni che potrebbero venir fuori quando si parla dal vivo. Affrontare certi argomenti, più o meno importanti, attraverso una chat virtuale ti mette certamente più a tuo agio. Il problema è che ci sono molti argomenti che non si possono affrontare via chat, dato che i messaggi, non parlandosi e non guardandosi in faccia, possono creare degli equivoci e dei malintesi».

Credi che si stiano perdendo un po' alcuni valori di un tempo?

«Ovviamente, ma credo che se ne stiano anche acquistando altri! C’è sia un dare che un avere. Molti valori di un tempo stanno sparendo, venendo surclassati da quelli attuali, che, sinceramente, vivendo completamente immersa nella tecnologia, non ho ancora compreso a pieno. Diciamo che, in un mondo ormai iper-tecnologico, assistiamo a continue trasformazioni. Penso che un “nuovo valore” sia quello della vicinanza, il sentirsi sempre a stretto contatto con molte persone. A volte, mi chiedo come sarebbe stato nascere all’epoca dei miei genitori o, addirittura, dei miei nonni. Forse era tutto più genuino, non si veniva influenzati da altri mezzi, ci si diceva tutto in faccia, con schiettezza. Certo, d’altra parte, c’era maggiore difficoltà a comunicare con una persona che si trovava a molti chilometri di distanza».

Parliamo di Instagram: perché i giovani avvertono così forte la necessità di condividere frammenti della propria vita?

«Forse perché idealizzano la vita, nel senso che vengono influenzati da ciò che vedono su Instagram. Cercano di emulare quello che vedono, vogliono raggiungerlo a tutti i costi. Magari un ragazzo o una ragazza single che vede una fotografia di una coppia che si bacia, felicemente fidanzata, può provare invidia e cercare in ogni modo di compensare questa sua mancanza, mostrando qualcosa che lui possiede e l’altro no. Ma la domanda è: “sarà vero tutto ciò che vediamo su Instagram?”. Secondo me, molte volte ciò che vediamo rappresenta una facciata, una semplice immagine che non racconta quasi niente della vita reale di una persona. Questo confronto tra la nostra vita e quella degli altri ci mette molto spesso in competizione. Facciamo a gara a chi mette il post più bello o a chi ha il ricordo migliore, ma, in fin dei conti, quel post o quel ricordo saranno veri?».

Credi che la figura dell’influencer sia diventata una sorta di mito per i giovani? Pensi che cerchino di imitare queste persone e che ciò possa suscitargli reazioni, in un certo senso, negative?

«Appare chiaro come gli influencer stiano acquisendo sempre più potere. Come dice la parola stessa, l’influencer è in grado di influenzare le persone a suo piacimento e questo mi mette un certo disagio. Noi dobbiamo essere abbastanza forti da imporci sugli standard sociali dettati da queste figure. Da questo punto di vista, i ragazzi, soprattutto quelli più giovani, che hanno iniziato la loro vita completamente immersi nei social, sono più deboli. Tanti giovani si fanno manipolare da quello che vedono sui social, vedono gli influencer come degli idoli, delle persone modello da imitare. Bisogna dire che ci sono anche vari influencer che infondono messaggi positivi, ma la cosa preoccupante è che, in ogni caso, tanti ragazzi mettono da parte le proprie idee per seguire quelle di altri, senza esprimere opinioni, con la paura costante del giudizio altrui. Da qui, si innesca una lunga catena che può sfociare in un abbandono completo del proprio vero io e questa, secondo me, è una cosa gravissima».

Ricollegandoci alla stretta attualità, pensi che la quarantena forzata abbia portato i giovani a riflettere sui loro rapporti con familiari, amici e partner?

«Per quanto riguarda i genitori e i fratelli, o comunque tutti coloro che vivono sotto uno stesso tetto, spero con tutta me stessa che questa quarantena forzata abbia permesso ai ragazzi di intraprendere con loro un rapporto differente dal solito. La realtà attuale vede tante famiglie divise. Attorno alla famiglia, ruotano diversi valori fondamentali, come l’amore e l’educazione, che sono i primissimi valori che ci vengono impartiti. Penso che l’essere costretti a rimanere in casa possa aver comportato una sorta di ritorno alle origini, cioè una riscoperta e un apprezzamento maggiore di questi valori.

Per quanto riguarda parenti meno stretti, amici e partner, spero anche in quel caso che sia ragazzi che adulti rivalutino l’importanza del rapporto faccia a faccia. Siccome praticamente nessuno di noi, in questi parecchi giorni di reclusione, ha avuto modo di sperimentare un contatto diretto, mi auguro che, usciti da questa situazione, si possa ritornare, con volontà vera, ad affrontare il mondo personalmente, cercando di ridurre al minimo l’utilizzo del cellulare o del computer, ovviamente nei casi ove ciò è possibile. Quello che ci distingue da tutti gli altri animali è il fatto che noi abbiamo la facoltà di vivere una vita in prima persona, quindi perché non farlo?».

Secondo te, come si evolverà la comunicazione giovanile nel futuro?

«Al giorno d’oggi, il futuro rappresenta una grandissima incognita, sia dal punto di vista umano che da altri punti di vista. Basta vedere la situazione che stiamo vivendo, un virus che ha gettato nel panico l’intero pianeta! Forse uno shock come quello che stiamo vivendo potrebbe farci un attimo distogliere lo sguardo dal progresso tecnologico e farci tornare, per certi versi, indietro, affrontare alcuni problemi come si faceva in passato. Tuttavia, è difficile che il progresso tecnologico subisca un arresto. Il punto di partenza dev’essere la volontà di cambiare in positivo il mondo, sempre. Bisogna cercare di apprendere dalle esperienze passate e applicarle nel futuro, altrimenti non so, sinceramente, dove potremmo andare a finire».

Spiegaci meglio: quali potrebbero essere le conseguenze scaturite da una non sufficiente comprensione delle esperienze passate?

«Che non ci si parli proprio più, che ognuno cominci a vivere pensando solo a sé stesso, alienato da tutto e tutti. Che si inizi a sfruttare gli altri per scopi personali. Questa sarebbe la definitiva caduta del genere umano, la trasformazione di noi stessi in una sorta di automi. Insomma, quello che vediamo in alcuni film di fantascienza, in un futuro, ormai, non troppo lontano dai nostri giorni».

 

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