Minoranze: alla ricerca dell'informazione perduta
Tv e radio parlano delle persone in mobilità classificandole per la nazionalità ed etichettandole o come “clandestini” o come “rifugiati”, creando così una “classifica di gradimento” delle comunità straniere in Italia.
24 febbraio 2012

Sono cinque le minoranze a rischio discriminazione sui media italiani monitorate da una ricerca denominata Mister Media (Minorities Stereotypes on Media), progetto nato dalla collaborazione tra il Centro D'Ascolto dell'Informazione Radiotelevisiva e il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza, e con il supporto di Open Society Foundations.
Secondo lo studio sugli immigrati, i rom e i sinti, ma anche religioni minoritarie e gli ex tossicodipendenti, tossicodipenti ed ex detenuti emerge che di queste categorie maggior attenzione è dedicata a quella degli immigrati e dei rifugiati, con il 61% dei casi (4.373) complessivi, che raggiungono il 71% se si guarda alla sola Tv.
In televisione, dunque, quando si parla di minoranze si parla di migranti, mentre i rom fanno notizia per il 14% dei casi (978), il credo e la fede religiosa seguono con il 13% (913), e a scendere tutte le altre realtà di disagio e povertà.
La ricerca è stata effettuata con un monitoraggio, 24 ore su 24, su tutti i Tg Rai, Mediaset e La7, sui notiziari delle emittenti radiofoniche nazionali e le trasmissioni di attualità e di approfondimento in programmazione sui canali televisivi e radiofonici nazionali.
Lungo un anno intero (1 luglio 2010 - 30 giugno 2011) sono state messe sotto osservazione 20mila edizioni di giornali radio, 2.500 edizioni di telegiornali, 12mila trasmissioni radiofoniche e 1.500 trasmissioni televisive. Sul totale di un database così ampio, sono stati selezionati oltre 7 mila file che parlavano di minoranze. L'83% è costituito da informazione e il 67% dei casi da giornali radio.
Sulla rappresentazione delle minoranze, la radio si afferma per «una maggiore capacità di accendere l'attenzione su una pluralità di temi» per la maggior quantità di notizie che i giornali radio riescono a coprire e la grande varietà di trasmissioni, con tagli e linguaggi diversi.
Due esempi sono dati da alcuni programmi radiofonici che, in quell'arco di tempo, si sono interrogati sui rischi di xenofobia contro i migranti, come 24 mattino (Radio 24) che il 6 e 7 dicembre 2010, ha parlato esplicitamente, problematizzandola, dell'associazione "più immigrazione = più criminalità", oppure a 28 minuti (Radio 2) si è parlato di «xenofobia e preoccupazioni dopo il caso della scomparsa di Yara Gambirasio dove viene sospettato un immigrato».
Purtroppo, al di là di queste eccezioni, quando si parla di immigrati, nei Tg, in particolar modo, lo si fa per fatti di cronaca e la messa in pericolo della sicurezza sociale, per le tensioni legate allo sfruttamento del lavoro nero o per la "regolarizzazione" della presenza degli immigrati, gli sbarchi di profughi o l'illegalità in generale. Quello che manca è la spiegazione dei fenomeni migratori e il loro approfondimento. Invece, troppo spesso, queste notizie sono relegate uncamente alle news dei telegiornali, che non fanno che confermare «l'utilizzo massiccio della nazionalità come elemento identificativo dei soggetti coinvolti: essa è infatti indicata nel 61% dei casi in cui si parla di immigrati», rivela il rapporto. Vengono particolarmente sovrarappresentanti quei migranti che provengono dagli stati del Nord Africa a discapito di quelli provenienti dall'Europa dell'est, numericamente maggiori rispetto ai maghrebini nel Belpaese.
«Questa è una differenza sostanziale rispetto a quanto era emerso in precedenti rilevazioni e ciò è avvenuto in concomitanza con gli avvenimenti della cosiddetta "primavera araba", a partire dalla fine del 2010 - spiega la ricerca - l'uso diffuso della nazionalità come elemento identificativo dei soggetti coinvolti in casi di criminalità contribuisce alla costruzione di una "classifica di gradimento" delle varie nazionalità di cittadini stranieri presenti sul territorio italiano. L'indicazione della nazionalità avviene nel 45% cento dei casi per quanto riguarda i clandestini, mentre per i rifugiati avviene nel 24% dei casi". Si fa, in qualche modo, riferimento a una sorta di valutazione sociale delle nazionalità che, nell'immaginario del migrante, sarebbe condivisa dal popolo italiano».
Si può quindi, a buon giudizio, parlare di un fenomeno di etichettamento e stereotipizzazione di una comunità. Molto frequenti sulla televisione italiana sono anche le diciture clandestino e rifugiato (la prima nel 17% dei casi - 761 su 4173 - mentre la seconda è salita al 17% - 761 su 4173). «Anche questo incremento è probabilmente dovuto alle sommosse popolari nel Nord Africa e alla concessione di questo status giuridico agli esuli, resa più difficoltosa dal sistema di selezione adottato dall'U.E. che implica l'obbligo di rimanere nel paese che accoglie per primo il rifugiato. Ciò impedisce di fatto eventuali ricongiungimenti familiari o comunque la ricerca di opportunità in altri paesi comunitari», afferma ancora la ricerca.
Secondo lo studio sugli immigrati, i rom e i sinti, ma anche religioni minoritarie e gli ex tossicodipendenti, tossicodipenti ed ex detenuti emerge che di queste categorie maggior attenzione è dedicata a quella degli immigrati e dei rifugiati, con il 61% dei casi (4.373) complessivi, che raggiungono il 71% se si guarda alla sola Tv.
In televisione, dunque, quando si parla di minoranze si parla di migranti, mentre i rom fanno notizia per il 14% dei casi (978), il credo e la fede religiosa seguono con il 13% (913), e a scendere tutte le altre realtà di disagio e povertà.
La ricerca è stata effettuata con un monitoraggio, 24 ore su 24, su tutti i Tg Rai, Mediaset e La7, sui notiziari delle emittenti radiofoniche nazionali e le trasmissioni di attualità e di approfondimento in programmazione sui canali televisivi e radiofonici nazionali.
Lungo un anno intero (1 luglio 2010 - 30 giugno 2011) sono state messe sotto osservazione 20mila edizioni di giornali radio, 2.500 edizioni di telegiornali, 12mila trasmissioni radiofoniche e 1.500 trasmissioni televisive. Sul totale di un database così ampio, sono stati selezionati oltre 7 mila file che parlavano di minoranze. L'83% è costituito da informazione e il 67% dei casi da giornali radio.
Sulla rappresentazione delle minoranze, la radio si afferma per «una maggiore capacità di accendere l'attenzione su una pluralità di temi» per la maggior quantità di notizie che i giornali radio riescono a coprire e la grande varietà di trasmissioni, con tagli e linguaggi diversi.
Due esempi sono dati da alcuni programmi radiofonici che, in quell'arco di tempo, si sono interrogati sui rischi di xenofobia contro i migranti, come 24 mattino (Radio 24) che il 6 e 7 dicembre 2010, ha parlato esplicitamente, problematizzandola, dell'associazione "più immigrazione = più criminalità", oppure a 28 minuti (Radio 2) si è parlato di «xenofobia e preoccupazioni dopo il caso della scomparsa di Yara Gambirasio dove viene sospettato un immigrato».
Purtroppo, al di là di queste eccezioni, quando si parla di immigrati, nei Tg, in particolar modo, lo si fa per fatti di cronaca e la messa in pericolo della sicurezza sociale, per le tensioni legate allo sfruttamento del lavoro nero o per la "regolarizzazione" della presenza degli immigrati, gli sbarchi di profughi o l'illegalità in generale. Quello che manca è la spiegazione dei fenomeni migratori e il loro approfondimento. Invece, troppo spesso, queste notizie sono relegate uncamente alle news dei telegiornali, che non fanno che confermare «l'utilizzo massiccio della nazionalità come elemento identificativo dei soggetti coinvolti: essa è infatti indicata nel 61% dei casi in cui si parla di immigrati», rivela il rapporto. Vengono particolarmente sovrarappresentanti quei migranti che provengono dagli stati del Nord Africa a discapito di quelli provenienti dall'Europa dell'est, numericamente maggiori rispetto ai maghrebini nel Belpaese.
«Questa è una differenza sostanziale rispetto a quanto era emerso in precedenti rilevazioni e ciò è avvenuto in concomitanza con gli avvenimenti della cosiddetta "primavera araba", a partire dalla fine del 2010 - spiega la ricerca - l'uso diffuso della nazionalità come elemento identificativo dei soggetti coinvolti in casi di criminalità contribuisce alla costruzione di una "classifica di gradimento" delle varie nazionalità di cittadini stranieri presenti sul territorio italiano. L'indicazione della nazionalità avviene nel 45% cento dei casi per quanto riguarda i clandestini, mentre per i rifugiati avviene nel 24% dei casi". Si fa, in qualche modo, riferimento a una sorta di valutazione sociale delle nazionalità che, nell'immaginario del migrante, sarebbe condivisa dal popolo italiano».
Si può quindi, a buon giudizio, parlare di un fenomeno di etichettamento e stereotipizzazione di una comunità. Molto frequenti sulla televisione italiana sono anche le diciture clandestino e rifugiato (la prima nel 17% dei casi - 761 su 4173 - mentre la seconda è salita al 17% - 761 su 4173). «Anche questo incremento è probabilmente dovuto alle sommosse popolari nel Nord Africa e alla concessione di questo status giuridico agli esuli, resa più difficoltosa dal sistema di selezione adottato dall'U.E. che implica l'obbligo di rimanere nel paese che accoglie per primo il rifugiato. Ciò impedisce di fatto eventuali ricongiungimenti familiari o comunque la ricerca di opportunità in altri paesi comunitari», afferma ancora la ricerca.
Siamo dunque di fronte a quella che Mario Morcellini, Direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale della Facoltà di Scienze politiche, sociali e della comunicazione della Sapienza, ha definito la dimostrazione del potere dei media: un potere, in questo caso, distorcente la realtà, che manca di consegnarci tutta la ricchezza e originalità che ogni cultura possiede come bagaglio e come dono e mai come una categoria o peggio ancora un freddo incasellamento semplicistico.
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