domenica 6 ottobre 2024
La Nuova Zelanda, terra di rinascite
di Marta Donolo
È un paese pacifico e gentile, che offre molte opportunità a chi le sa cogliere, compresi molti italiani. Purché non si abbia paure delle lontananze
23 marzo 2015

Immigrati part-time. Chi arriva in Nuova Zelanda forse non sente il bisogno di farsi troppe domande sullo stile di vita, essendo molto simile a quello di tutti i Western countries o paesi Occidentali, con breakfast all'inglese, camping all'americana con marshmallow da arrostire intorno a un falò, negozi che chiudono alle 17.00, cinema che propongono blockbuster movie. In effetti queste e tante altre abitudini occidentali non mancano, ma la sorpresa sono le tantissime etnie da scoprire e capire. Indiani, iraniani soprattutto, ma anche indonesiani, persone che rappresentano popoli poco conosciuti agli ”Europei”, se non sotto altri profili. E molti italiani, naturalmente. Sono immigrati che arrivano in questo paese con una sola aspirazione: lavorare e vivere bene, e diventano negli anni expats, immigrati residenti stabilmente.

Perché così tanti decidono di non tornare nel loro paese una volta finito il periodo di esperienza all'estero, una volta imparata la lingua? La Nuova Zelanda è un paese che ha uno dei sistemi scolastici migliori al mondo, con un tasso di alfabetizzazione del 99%; è un paese da anni al primo posto nelle classifiche internazionali per assenza di corruzione; un paese ai primi posti al mondo come nazione più pacifica (Global Peace Index); un paese dove la qualità della vita è una priorità istituzionale.
L'Italia è il suo esatto opposto: paese corrotto, disinvestimenti nel sistema formativo e qualità della vita che ogni giorno peggiora, soprattutto nelle grandi città. Gli italiani che si trasferiscono per un breve periodo sono disposti a rimanere, “se necessario”, pronti addirittura a sposarsi per avere un visto.
Evidentemente anche altri la pensano così, ma forse con un minor senso di disperazione e con maggiore consapevolezza, perché magari alle spalle hanno la povertà dell'India, i disastri politici dell'Iran o la cartografia dell'Indonesia che certo non facilita la coesione sociale.
Per tutti loro la Nuova Zelanda è una rinascita, non una sconfitta. Sì, perché andarsene dall'Italia oggi rappresenta una sconfitta a livello nazionale, di risorse che se ne vanno, di opportunità finite. Vedere tanti giovani immigrati costruire qui il loro futuro dà un senso di straniamento.
Sebbene in molte culture simili alla cultura italiana il senso di appartenenza alla famiglia sia al primo posto, diventa prioritario costruirsi una seconda chance oppure accettarsi come second generation, in quanto figli di immigrati che si sono trasferiti e integrati, diventare neozelandesi o meglio “kiwi”.

In Nuova Zelanda si possono sfruttare le proprie competenze, si può trovare un posto di lavoro adeguato, si può crescere come adulti. British lessons. Orientarsi tra le diverse culture però non è semplice. Le differenze riguardano le parole, che vanno pesate e ponderate, per non uscire dalle “regole sociali” della società kiwi e i comportamenti, dato che i neozelandesi sono caratterialmente molto indipendenti e basano il loro approccio all'altro sul principio: ”vivi e lascia vivere”.
La loro gentilezza è naturale, gli autisti salutano sempre con un sorriso e ricevono sempre un saluto da ogni singolo passeggero che sale o scende dall'autobus. C'è una grande etica del lavoro, ma anche la capacità di enjoy the life, ovvero l'importanza di avere una vita attiva al di fuori del lavoro.
La burocrazia pubblica è efficiente, non c'è un gap tra la visione del mondo e quello in cui si crede, tra i valori e i comportamenti.

La società neozelandese è oggi biculturale, un misto tra popolazioni anglofone - malgrado abbiano trasformato la pronuncia inglese in una ancora più criptica - moltissime persone hanno antenati irlandesi, e maori, ma in un futuro sempre più vicino diventerà multietnica. La società è cambiata recentemente: in particolare sono aumentate esponenzialmente il numero delle società edili post-terremoto nella regione di Canterbury, Isola de Sud; si sono create enclave culturali come i boys club dell' ottima facoltà di ingegneria della Canterbury University, come anche quella degli international exchange student, in particolare biologi e agronomi, che popolano le università naturalmente land based (che studiano in particolare il territorio) durante questo periodo estivo; non mancano gli old fashioned sirs and ladies che ballano il ceroc, modern jive il cui nome deriva dall'abbreviazione del francese “c'est rock”) e mantengono vivo il significato delle tradizioni anglosassoni, come il cricket, il tè delle 5 pm (non delle 17), la vita outdoor, all'aria aperta.
Esistono tuttavia ambienti più impiegatizi, dove il valore predominante è il denaro, la missione ancora quella di trovare un buon partito, seppur così distanti dal paese di origine, pur di ottenere un visto e così una vita migliore.  

Il “culture shock”. Le leggi sull'immigrazione rallentano un'evoluzione inevitabile, senza comprendere forse la risorsa rappresentata dagli immigrati, soprattutto in una società con un così esiguo numero di abitanti come la Nuova Zelanda.
La lontananza dai centri globali è poi un altro aspetto fondamentale: come riescano le persone che vivono qui a vivere una vita quotidiana pur nella difficoltà delle connessioni, dei trasporti, degli scambi di merci. Oltre ai vantaggi del relativo isolamento, come la relativa sicurezza, ci sono anche tutti gli svantaggi che saltano agli occhi di chi è cresciuto in un continente più “centrato” ma è felice di “de-centrizzarsi” un po'.
Da un lato c’è dunque la lontananza da tutto e da tutti, che ha portato i neozelandesi a produrre in casa propria ciò che non sempre si può importare, mentre dall’altro si trova la latitudine perfetta non solo per coltivare grano di qualità per la produzione di birra, ma anche per instaurare nuovi legami sociali, più incentrati sulla cooperazione e la solidarietà.
In Nuova Zelanda gli italiani, che all'arrivo si sentono rifugiati politici in vite che si replicano come serie televisive, che cercano in video ricette per sentirsi a casa, che si muovono in gruppi come turisti cinesi, dopo un po' di tempo riescono a ricollegarsi alle loro vite, spegnendo il computer e ascoltando quello strano rumore portato dal vento, il vento della Nuova Zelanda e del “ricominciare”.

23 marzo 2015
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