
Rubino, «il vero successo è stato tornare a casa»
Dopo tre anni di silenzio, Renzo Rubino ritorna con una raccolta di 12 inediti frutto di “una lunga gestazione” vissuta nella sua terra natìa
2 aprile 2017
Lo show business
per Renzo Rubino termina la sera del 22 Febbraio 2014 quando dopo aver calcato
per due anni consecutivi l’Ariston, conquista il terzo posto del Festival con il brano “Ora”.
Per l’artista pugliese seguono mesi di interviste, ospitate televisive,
concerti ma oggi è lui stesso ad ammettere che «non ce la faceva più». Gli
occorreva una pausa per capire dove lo stesse portando quel percorso musicale fatto
di tre album e troppa «frenesia del quotidiano». A 26 anni, quindi, decide di
fare le valigie e tornare dove tutto, per lui, è iniziato: un pianoforte, un
vaso di gerani e la tranquillità di Martina Franca.
“Il gelato dopo il mare” racchiude 12 nuovi pezzi che non sarebbero mai nati senza questa lunga gestazione vissuta in Puglia, a tu per tu con Renzo. Lui stesso racconta: «sono ritornato per dedicarmi all’orto (che ho dovuto rifare due volte!) per dipingere le ceramiche e per curare le piante: avevo bisogno di riappropriarmi del gusto delle cose semplici. “Il gelato dopo il mare” è la cosa che mi fa star bene. È mio nonno, simbolo della serenità che mangia un buon gelato al gusto fragola, pistacchio e vaniglia».
Si emoziona mentre ricorda i momenti in cui gli amici gli consigliavano di riprendere in mano spartiti e pianoforte per dare forma ai brani che aveva scritto: «ho capito che per scrivere belle canzoni ci vuole tempo e soprattutto bisogna vivere. Un pezzo scritto in un giorno non è come quello scritto in un mese. A Roma, dopo il successo dei due Festival di Sanremo, suonavo ogni notte in un localino. Era lo sfogo di cui avevo bisogno. Ma quel tipo di divertimento mi aveva stancato».
Un album ricco di suoni grazie alla collaborazione di molti musicisti e strumenti etnici (persino la Kora, registrata in Africa e poi inserita in studio). Estroverso e riflessivo nello stesso album, Rubino continua ad essere coerente con il suo stile fatto di alti e bassi come, del resto, è la stessa vita. “Non ce la faccio più!” è il grido che apre l’album, il grido da cui tutto è partito, quella stessa condizione che lo costringeva a lasciare la capitale. Ma in questa pausa di tre anni c’è stato anche posto per coltivare (o rispolverare) quell’io spirituale che si mostra in brani come “Pregare” e “Il segno della croce”. E ancora un omaggio dedicato a Dalla, con il pezzo “Cosa direbbe Lucio?” nato da un dialogo immaginario con il maestro.
Dodici inediti che invitano a fermarsi e a prendere una boccata d’aria, come quando ci si trova davanti al mare di Polignano che Rubino decide di riprodurre su tutta la confezione dell’album. Chiude il racconto musicale di questi tre anni, uno stornello in lingua pugliese (nascosto) con la sola voce e fisarmonica del cantautore, per ritornare all’essenziale, dove le cose belle della vita si descrivono con tre parole “La la la”.
“Il gelato dopo il mare” racchiude 12 nuovi pezzi che non sarebbero mai nati senza questa lunga gestazione vissuta in Puglia, a tu per tu con Renzo. Lui stesso racconta: «sono ritornato per dedicarmi all’orto (che ho dovuto rifare due volte!) per dipingere le ceramiche e per curare le piante: avevo bisogno di riappropriarmi del gusto delle cose semplici. “Il gelato dopo il mare” è la cosa che mi fa star bene. È mio nonno, simbolo della serenità che mangia un buon gelato al gusto fragola, pistacchio e vaniglia».
Si emoziona mentre ricorda i momenti in cui gli amici gli consigliavano di riprendere in mano spartiti e pianoforte per dare forma ai brani che aveva scritto: «ho capito che per scrivere belle canzoni ci vuole tempo e soprattutto bisogna vivere. Un pezzo scritto in un giorno non è come quello scritto in un mese. A Roma, dopo il successo dei due Festival di Sanremo, suonavo ogni notte in un localino. Era lo sfogo di cui avevo bisogno. Ma quel tipo di divertimento mi aveva stancato».
Un album ricco di suoni grazie alla collaborazione di molti musicisti e strumenti etnici (persino la Kora, registrata in Africa e poi inserita in studio). Estroverso e riflessivo nello stesso album, Rubino continua ad essere coerente con il suo stile fatto di alti e bassi come, del resto, è la stessa vita. “Non ce la faccio più!” è il grido che apre l’album, il grido da cui tutto è partito, quella stessa condizione che lo costringeva a lasciare la capitale. Ma in questa pausa di tre anni c’è stato anche posto per coltivare (o rispolverare) quell’io spirituale che si mostra in brani come “Pregare” e “Il segno della croce”. E ancora un omaggio dedicato a Dalla, con il pezzo “Cosa direbbe Lucio?” nato da un dialogo immaginario con il maestro.
Dodici inediti che invitano a fermarsi e a prendere una boccata d’aria, come quando ci si trova davanti al mare di Polignano che Rubino decide di riprodurre su tutta la confezione dell’album. Chiude il racconto musicale di questi tre anni, uno stornello in lingua pugliese (nascosto) con la sola voce e fisarmonica del cantautore, per ritornare all’essenziale, dove le cose belle della vita si descrivono con tre parole “La la la”.
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