mercoledì 24 aprile 2024
La precarietà si diffonde, ma progettare il futuro è possibile
di Mariaelena Iacovone
L'importante è puntare sulla sostenibilità, che non è solo una questione ambientale, ma anche economica, sociale ed educativa. Ci spiega il perché la professoressa Laura Nota.
30 settembre 2018

Laura Nota, docente dell’Università di Padova e Delegata del Rettore per l’inclusione e la disabilità, è stata una delle relatrici che sono intervenute al Convegno Internazionale “Giovani e Scelte di vita: prospettive educative”, tenutosi a Roma dal 20 al 23 settembre.

L’intervento della professoressa si è concentrato sulle questioni della progettazione professionale e sui dinamismi psicologici coinvolti nelle scelte dei giovani.

Un tema estremamente significativo e interessante, che si inserisce in contesti e orizzonti socio-economici molto più ampi e complessi. Nell’intreccio, infatti, tra macrosistemi, mesosistemi e microsistemi è possibile individuare una serie di emergenze che caratterizzano i giorni d’oggi. Basti pensare al tema delle disuguaglianze e della super-diversità, al fenomeno migratorio, alle problematiche ambientali e al ruolo delle nuove tecnologie nei vari settori professionali.

È soprattutto su questo ultimo punto che la docente si è soffermata, dedicando un’ampia riflessione al tema dell’orientamento e dell’inclusione.

 

L’innovazione tecnologica, infatti, ha stravolto la vita lavorativa e ha comportato quella che tecnicamente viene chiamata polarizzazione del lavoro, per cui «una fascia ristretta di persone si trova a fare lavori interessanti e di qualità, mentre un’altra, sempre più ampia, si dedica ai cosiddetti “lavoretti”».

Un numero sempre minore di lavori stabili, il dilagare della gig economy (cioè di quel modello economico caratterizzato da lavori saltuari e senza contratto) e la richiesta di autoimprenditorialità e competitività stanno determinando in molte persone sentimenti di incertezza e di paura per il futuro. «Tutto questo non può che sposarsi, soprattutto tra i giovani, con stili decisionali improntati all’evitamento, cioè a evitare di scegliere, alla procrastinazione, ossia a rimandare fino all’ultimo momento prima di prendere una decisione, e alla superficialità», ha dichiarato Laura Nota.

Una problematica troppo a lungo ignorata dalle nostre politiche economiche-sociali e che è stata, tuttavia, recuperata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, che ha adottato nel 2015 l’Agenda 2030. Essa, infatti, pone il lavoro dignitoso e la piena occupazione al centro delle politiche per lo sviluppo sostenibile e inclusivo.

 

A questo punto la domanda è lecita: come fronteggiare in concreto una realtà così potente che piega le persone? Come “trasformare queste emergenze in imprese personali”?

Innanzitutto, è necessario abbandonare tutti quei modelli di progettazione del futuro che risultano datati (come il “Matching Paradigm”: “dimmi che capacità hai e ti dirò cosa potrai fare”) e non più validi in una realtà ibrida e in continuo cambiamento.

Poi, «bisogna preparare i giovani a costruire la loro Agenda 2030», aiutandoli a prendere consapevolezza delle sfide che li circondano. Da qui il Progetto proposto dall’Università di Padova “Stay passionate, courageous, inclusive, sustainable, ecc…”, il quale si prefigge di sostenere i giovani nei loro progetti futuri, puntando l’attenzione sui propositi e le prospettive desiderate, piuttosto che sulla semplice scelta professionale. Si passa, così, da domande del tipo «Cosa vuoi fare da grande?» a «Quali sfide vuoi affrontare e quali competenze intendi acquisire?».

Inoltre, ci spiega la professoressa Nota che risultano fondamentali in quest’ottica anche le attività laboratoriali e gli incontri. Si tratta, infatti, di importanti occasioni di conoscenza e di riflessione sulle minacce che oggi siamo chiamati a gestire.

 

Allora, rispetto a questi possibili scenari futuri, l’Italia a che punto si trova? È riuscita a definire una propria strategia di sviluppo sostenibile?

Nella nostra intervista la docente ci ha spiegato che «in Italia c’è un certo fermento rispetto a questa tematica. Esistono, infatti, vari movimenti da parte del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur), c’è poi la Rete Universitaria per lo Sviluppo sostenibile (RUS), che sta cercando di favorire gli investimenti delle università in materia di sostenibilità, e ASviS, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile. Adesso risulta importante investire in ricerca nei vari ambiti (quindi non solo quello ambientale). Bisogna, poi, trasformare questa ricerca in cultura e in educazione. Farla diventare, quindi, il cuore pulsante, per fare in modo che la nostra società possa avere un futuro migliore e dignitoso».

Se si desidera sostenere le nuove generazioni è necessario, perciò, cambiare prospettiva e rendersi conto che il lavoro è un mezzo necessario all’uomo per la sua realizzazione e soddisfazione personale. Come dichiara, infatti, lo psicologo statunitense Jonathan Haidt, «L’amore e il lavoro sono per le persone ciò che l’acqua e il sole sono per le piante».

30 settembre 2018
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