giovedì 18 aprile 2024
Studio, ma non nella mia città. Se posso...
di Giuditta Garufi
Universitari fuorisede: il cambiamento dei flussi di spostamento, le caratteristiche delle università del Mezzogiorno e le risorse delle famiglie del Sud
25 aprile 2023

È un dato di fatto. Più si va avanti, maggiore è il numero di studenti che si allontanano dalla propria provincia di residenza per l’università.

Per avvalorare questa tesi, sono stati riportati qui di seguito i dati elaborati su tre specifici dataset Istat, rintracciabili da questa fonte.

infografica_fuorisede

A partire dai dati del Censimento Istat del 2018 – in questo articolo non specificamente riportati ma reperibili dalla fonte citata – è possibile individuare come degli oltre 46 milioni di maggiorenni residenti in Italia nel 2018, ammonta a 591.507 il totale di studenti che vivono in una provincia diversa da quella di residenza. Inoltre, 207.758 di questi affrontano un tragitto di oltre 4 ore per spostarsi dalla propria provincia/CM di residenza a quella di studio.

Nell’infografica esposta sopra, emerge come, nel 2018, nella top 5 delle regioni con il più elevato numero di fuorisede più distanti da casa, un posto di spicco sia occupato dalle maggiori regioni del Mezzogiorno: Sicilia, Puglia, Calabria e Campania.

Nell’anno post-Covid la quota di fuorisede ha raggiunto il massimo storico con il 20,7% degli immatricolati che sceglie un ateneo lontano dalla regione di residenza. Eppure, Talents Venture – società di consulenza specializzata nello sviluppo di soluzioni a sostegno dell’istruzione terziaria – nel novembre 2021, mette in evidenza come siano cambiati i flussi di spostamento nel tempo. Infatti, se nel decennio precedente era maggiore la percentuale di studenti fuorisede provenienti dal Sud e dalle Isole, nell’aa 20/21 è stato rilevato un aumento dei flussi di spostamento intra-nord.

Da quanto emerso, è inevitabile riflettere sulle motivazioni che spingono gli universitari residenti nel Mezzogiorno a non trasferirsi più al di fuori della propria regione di residenza, come invece accadeva fino a poco tempo fa. Ciò non per persuadere a “fuggire” dal proprio territorio, bensì per porre l’attenzione su due aspetti fondamentali del percorso accademico di uno studente del Sud.

Le università del Mezzogiorno, dati alla mano

Secondo una ricerca dell’Osservatorio Talents Venture risalente al 2019, si registra una forte eterogeneità tra gli atenei e le diverse regioni d’Italia dal punto di vista dei tassi di occupazione e dei salari. Per esempio, gli studenti laureati negli atenei del Sud ed Isole presentano un tasso di occupazione del 61%, rispetto al 74% degli atenei del Centro e al 79% delle università del Nord.

Tuttavia, fanno eccezione a questa “regola” ingegneria elettronica e dell’informazione, in cui si registra un tasso di occupazione addirittura superiore nelle università del Sud ed Isole rispetto a quelle del Centro. Esempi di eccellenze di questi territori sono rappresentate dall’università “Federico II” di Napoli e dal Politecnico di Bari, in cui si riscontra un tasso di occupazione pari al 95%. Inoltre, nel gennaio 2023 il ministero dell’Università e ricerca (Mur) ha selezionato il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo tra i 180 “dipartimenti di eccellenza” d’Italia, selezionati per il quinquennio 2023-2027, seppur con critiche provenienti dalla Flc Cgil Palermo.

Questione risorse delle famiglie

Un’altra plausibile – non scontata! – motivazione che può sottostare alla scelta degli studenti del Mezzogiorno di rimanere nella propria regione di residenza è legata al proprio background familiare. Mantenere un figlio fuori casa, infatti, presuppone un importante carico dal punto di vista economico – oltre che affettivo!

Oggi, infatti, diversi fattori vanno a combinarsi tra loro quando si tratta di trasferirsi: a partire dal costo degli spostamenti, passando per il prezzo di affitti sempre più improbabili, senza dimenticare il costo della vita delle maggiori città universitarie italiane, e ultima – ma non per importanza – la crisi generale del Paese, che ha determinato un notevole aumento del prezzo dei beni di prima necessità.

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